Due film importanti al cinema, uno girato per la tv e in uscita fra pochi mesi, un documentario da lui prodotto che ha vinto il premio Open al Festival di Venezia. Non poteva essere migliore di così il 2016 di Alan Cappelli Goetz, l’attore italiano che abbiamo già ammirato ne “Il principe abusivo” di Siani, “New Moon” per la saga di Twilight, e poi in alcune fiction targate Rai tra cui “Tutti pazzi per amore” e diversi spot.
Ma da oggi è di nuovo sul grande schermo con un colossal d’eccezione, il remake di Ben-Hur, film diretto da Timur Bekmambetov che vede tra i protagonisti Jack Huston (Giuda Ben-Hur); Toby Kebbell (Messala), Morgan Freeman (sceicco Ilderim) e Rodrigo Santoro (Gesù).
Come è stato lavorare in un film di questa portata?
«Il set sembrava impressionante – racconta Alan Cappelli Goetz -, le scene che mi riguardano le abbiamo girate a Matera e ne è venuto fuori un effetto davvero particolare ma con poco. La città si presta davvero molto a fare un salto nel passato, con le stoffe, gli animali liberi, le spezie e le comparse sembrava di stare a Gerusalemme. C’è stata una cura minuziosa, un’ottima ricostruzione, c’era proprio un’atmosfera antica naturale, quasi un effetto magico. Devo ringraziare Rodrigo Santoro, che fa Gesù nel film e che mi ha dato ottimi consigli, ha 40 anni ma tanta esperienza ed è stato molto carino ad aiutarmi».
Ci descrive la sua parte?
«Io nel film sono un capitano, colui che accompagna Ben-Hur nella scena in cui Gesù si avvicina per dargli dell’acqua. Strattono e spingo Huston, e non è certo una cosa che capita tutti i giorni buttare a terra il protagonista. Non so se ricordate il primo film, in cui Gesù converte il pretoriano, ecco io sono quel comandante che viene come fulminato dallo sguardo di Gesù, quel tanto che basta a farlo avvicinare a Ben-Hur per dissetarlo. Poi torno in me e li divido. È una piccola scena, una sequenza lunga e molto musicale, ma intensa, dinamica, forte. Abbiamo fatto tante riprese».
C’è differenza tra come si gira con una produzione Italia e con una americana?
«Sono differenti i tempi. Da noi si girano anche più scene in uno stesso giorno, si curano forse meno i dettagli, si crea una dinamica più di gioco. È anche vero che in Italia ci sono meno soldi e questo fa cambiare i tempi in cui si deve girare. In America ci sono grandi budget, spesso si gira una sola scena al giorno e quindi più volte, curando ogni minimo dettaglio. C’è grande rispetto per ogni figura, coesione e volontà di fare un buon progetto. Un’attitudine che dovremmo avere anche noi, perchè alla fine si tratta di un prodotto ricco di arte che va al grande pubblico».
Ha preso parte anche alle riprese di Zoolander 2, che esperienza è stata?
«Totalmente diversa. A parte qualche piccola scena in cui siamo presenti nel film, io facevo parte di un cast di attori italiani che hanno fatto le “prove generali” delle location romane. Giravamo con una piccola troupe con Ben Stiller, che poi montava le scene per vedere l’effetto e poi riproporle con gli attori del cast. Io ho avuto l’onore di recitare le battute di Mugatu (Ferrell, ndr), è stato come avere lezioni private di recitazione dallo stesso Stiller».
Qual è invece la storia del film “Il confine”?
«Prima di tutto è un film in due puntate della Rai firmato da Carlei, che è un regista di gusto internazionale, è grandioso. Il suo lavoro non ha nulla da invidiare ai colossal. È ambientato negli anni della prima guerra mondiale, c’è un triangolo amoroso e la dinamica della guerra nella città di Trieste. Io sono uno dei protagonisti e ho origini austriache, insieme a me ci sono Caterina Shulha, che fa la mia fidanzata ebrea, e Filippo Scicchitano che interpreta il mio amico italiano. Il film ha una linea romantica, che si evolve in maniera complessa, ma c’è anche azione e amicizia. Il film dovrebbe uscire a dicembre in tv e verrà presentato al Festival di Torino».
Come produttore ha portato a Venezia “Harry’s bar” e ha vinto il premio Open…
«Un’esperienza fortunata, nata per caso. Un documentario che è stato mandato in onda da Canale 5 anche con ottimi riscontri. È una bella storia che parte da un gesto di generosità, è nato come salotto poi è diventato più commerciale, ma è stato un punto di svolta per Venezia. Cipriani è uomo carismatico, ma che fa sentire a proprio agio la gente, che torna nel locale anche per lui. Da lui si mangia bene, ha contribuito a costruire la Venezia di oggi, ha creato il Bellini. Sono molto contento di questo premio e del lavoro fatto».
Progetti futuri?
«Usciranno nel 2017 due serie in cui avrò ruoli importanti: “Sorelle” su Rai Uno con Anna Valle, Irene Ferri e Giorgio Marchesi, sono sei episodi, si tratta di un noir di Cinzia Th Torrini, scritto da Ivan Cotroneo; e poi “House Husbands” su Canale 5 con Filippo Nigro, Emilio Solfrizzi e Fabio Troiano, padri in versione casalinga».
Alan Cappelli Goetz parla quattro lingue (italiano, francese, inglese e fiammingo), è vegetariano convinto («sono cresciuto così, e poi leggendo un libro ho preso con convinzione questa strada»), suona la batteria e il pianoforte («nella famiglia di mia madre ci sono molti musicisti, mio padre invece mi ha trasmesso la passione per il teatro, mi sono incuriosito e poi ho sono entrato al Centro Sperimentale di Cinematografia»), fa l’attore ma ama anche la produzione…
Ma in futuro cosa vuole fare, nel senso che pensa anche alla regia?
«Ora sto scrivendo la sceneggiatura di un film, e sto collaborando con un bravo sceneggiatore. Scrivere mi piace, è bello e terapeutico, per recitare hai bisogno di un pubblico, per scrivere no, basta stare a casa. E nel tempo libero faccio questo. Adoro i documentari, mi piacciono molto. E poi facendo l’attore il passo è breve a cimentarsi con la scrittura e la regia. Vedremo, ci arriverò per gradi, ma intanto sperimento tutto».