Si è conclusa ieri la deposizione di Massimo Carminati sul processo per ‘mafia capitale’ in corso nell’aula bunker di Rebibbia. Che non abbia riservato sorprese eclatanti era prevedibile per il tentativo dell’ex Nar, di Buzzi e degli altri imputati di allontanare da loro quel 416 bis (associazione mafiosa) che condannerebbe tutti, chi più chi meno, ad un lungo periodo di detenzione. Ma questo sarà la Corte a deciderlo probabilmente entro giugno.
Inoltre sia il fascista Carminati che il comunista Buzzi, entrambi rispettosi l’un con l’altro, hanno voluto in qualche modo nobilitare la loro immagine. Il primo alimentando quel mito del cavalier nero con molte macchie ma senza paura, che ancora oggi gli tributa l’ammirazione della destra estrema e di una certa criminalità romana minore. L’altro, Buzzi, nel tentativo di dimostrare la sua contiguità con il stemma di potere della sinistra capitolina, che di fatto ha demolito dopo i primi arresti del 2014. Insomma divisi nel colore ma uniti nella reciproca amicizia e negli affari.
Ieri i procuratori, che Carminati accusa di essere particolarmente aggressivi nei suoi confronti (ma come potrebbe essere altrimenti visto che lui proclama di essere ancora in guerra), lo hanno interrogato sul furto nelle cassette di sicurezza di piazzale Clodio del luglio del ’99, per il quale il tribunale di Perugia tentò di dimostrare, senza successo, che erano stati sottratti documenti scottanti di giudici e avvocati. «Provate a chiedere a tutti gli imputati di quel processo…- sbotta Carminati -. Lì si va per rubare e, ammesso e non concesso che io abbia fatto il colpo, significa che qualche soldo lo avrò portato via. Quanti? Non lo dico, io rispondo quando mi va di rispondere». La condanna per quel colpo divenne definitiva il 21 aprile 2010. Ma Carminati evitò il carcere grazie all’indulto Prodi-Berlusconi, che gli cancellò tre anni di pena. Quindi ottiene l’affidamento nella cooperativa sociale di Salvatore Buzzi che lo aveva conosciuto in carcere.
Nel corso della udienza la Procura gli ha chiesto di spiegare il contenuto di una intercettazione ambientale da cui sembrerebbe emergere un suo interessamento per l’acquisto di armi (del resto mai trovate, eccetto una spada giapponese più che altro da esposizione). In questo caso è stato molto netto nel respingere l’accusa, affermando: «Mai avuto disponibilità di armi negli ultimi tempi, negli anni Settanta facevo il rapinatore di banche e può essere che possa aver avuto a che fare con qualche arma». Risposta ironica la quale lascia supporre che i nuclei terroristici di destra, i Nar di cui Carminati faceva parte già a 21 anni, utilizzassero prevalentemente nodosi bastoni e non armi da fuoco.
L’affermazione appare credibile alla luce del fatto che la sua caratura criminale pare incutere timore ad alcuni testi citati dall’accusa come vittime di intimidazioni che, alla fine, si sono rivelati reticenti o addirittura spaventati, come risulta dalle intercettazioni dei Ros. Senza considerare che lo stesso Procuratore capo Pigantone ha sempre affermato che le mafie non hanno bisogno di spargere sangue perché si spartiscono pacificamente il ricco mercato illecito della Capitale. Un mercato troppo ricco per dover ricorrere alla violenza.
Ora, che Carminati si senta perseguitato dalla Procura o da quelli che “lo vogliono morto” è plausibile per la sua strategia, sottolineiamo “strategia” di difesa, ma dalle sue deposizioni resta non chiarito, fra numerosi “non so” e “non ricordo”, il rapporto economico che lo legava a Salvatore Buzzi. In una precedente udienza Carminati aveva ammesso una divisione degli utili al 50 per cento. Circostanza confermata anche ieri dall’ex militante quando ha parlato di una sua partecipazione su quattro cantieri di lavori. Ma alla domanda dei pm se lui fosse pagato per non fare nulla, ha risposto con un «sostanzialmente è così».
I più anziani ricorderanno quello spot televisivo di Carosello degli anni ’60: “Falqui, basta la parola”. Allora si trattava di un noto lassativo, effetto analogo poteva (o può ancora suscitare) la semplice evocazione del nome dell’ex Nar: “Carminati, basta il nome“. Un brand che per Buzzi valeva pure una messa, questa volta non per Parigi, ma per Roma.
Giuliano Longo