“Disadorna e altre storie”, l’ultimo libro di Dario Franceschini

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Il 25 settembre scorso alla Fondazione Exclusiva nei pressi della stazione di Trastevere, è stato presentato l’ultimo libro del ministro alla cultura Dario Franceschini dal titolo “Disadorna e altre storie”.

All’evento era presente il Gotha dei palazzi romani, della politica, della cultura e dello spettacolo, con una presentazione corredata dalla lettura dei testi accompagnati da una ’spiega’ di illustri critici letterari.

Una critica che si potrebbe ridurre alla semplicità linguistica e narrativa di Franceschini che oltre ad aver già pubblicato altri romanzi (“Nelle vene dell’acqua d’argento”, “La follia improvvisa di Ignazio Rando”, “Daccapo e mestieri immateriali di Sebastiano Delgado”), questa volta propone una serie di racconti brevi.

Racconti, come ha detto, che possono rappresentare l’incipit di futuri romanzi, oppure schizzi di realtà trasfigurati dalla ‘memoria’  fini a se stessi. In fondo, e lo ha detto anche Franceschini, il racconto, anche breve, non è la caratteristica della  produzione letteraria nostrana, fatte le debite eccezioni. Abbiamo a che fare con un politico romanziere che riscuote successo con lavori dal linguaggio semplice, di scrittura piana come le sue pianure del baso Po. Una ‘mission’ non da poco, una ‘rara avis’ in quel panorama di ignoranza, anche linguistica, che l’ultimo numero dell’Espresso denunciava come imbarbarimento della politica di una politica ignorante e spesso alle prese con un Italiano che conosce malamente. 

Possiamo dirlo a pelle, il pregio di Franceschini in questi bevi racconti è la semplicità e la fruibilità per un vasto pubblico che, aimè, non ha più tempo per leggere perché distratto e  impegnato sui social nella digitazione compulsiva degli smart phone. 

Eppure nei brevi racconti di Franceschini c’è anima, quell’anima della bassa Padana con i suoi colori spenti ma arroventati in luglio da una foschia diffusa  che il personaggio del suo primo racconto avverte come oasi di sicurezza e tranquilla solitudine: “Paco Tavar si avvicinò alla finestra e l’aprì. Fuori si vedeva soltanto una distesa di pianura”.

Quelle  pianure fanno da sfondo ad altri racconti come quello dell’ottantenne che improvvisamente inizia a suonare il violino, con “quel colore opaco, come di un mare mosso, d’inverno, che hanno solo gli occhi azzurri dei vecchi”. Anziani che nei suoi racconti hanno la presenza e l’attualità del loro esistere.

Nei racconti di Franceschini c’è anche la Roma delle periferie, c’è Genova, c’e la memoria perduta della Resistenza che con Angiolina a Milano cuciva sul Tricolore le sigle del CLN (Comitato di Liberazione) che pure al nord e nelle sue pianure, ancora vive fra le genti.

Se alcuni racconti paiono ‘leggeri’ l’insieme di “Disadorna e altre storie” lascia nel lettore un senso di malinconia e anche di ‘amarcord’ di tempi trascorsi. Ricordi Personali, forse, che si intrecciano con la fantasia di un autore che ha la consapevolezza dello scorrere del tempo, e dell’incombenza della Natura, come Umilio Cesare che ogni giorno d’estate e d’inverno attendeva su una panchina il passaggio del treno alla stazione nei pressi del ponte sul Reno e rimane immobile mentre il terremoto distrugge l’edificio della stazione. “Adesso attorno a lui c’è di nuovo soltanto pianura”.

Giuliano Longo