Risorse per Roma senza vertici da agosto

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L’assessore al Coordinamento strategico delle Partecipate, Alessandro Gennaro, che che da poco ha occupato la poltrona del suo predecessore, l’imprenditore veneto Colomban, ieri così commentava i dati dell’Agenzia per la Coesione: «Con il Piano di riordino e razionalizzazione delle società partecipate del Campidoglio abbiamo disegnato un nuovo assetto del Gruppo Roma Capitale. Questa riorganizzazione produrrà risparmi per le casse comunali e maggiore efficienza delle aziende, che torneranno a programmare investimenti per offrire migliori servizi ai cittadini».

Risparmi calcolati nell’ordine di 10 milioni, ma che non tengono conto del concordato preventivo di Atac e del bilancio di Ama che rappresentano la vera voragine miliardaria nei conti della Capitale.
Fra le grandi società va  compresa Risorse per Roma con i suoi oltre 600 dipendenti. In questo caso il piano Colomban prevede che tutta la gestione delle entrate venga accentrata su AequaRoma.

Una competenza finora affidata in parte a una società privata e in parte a Risorse per Roma, i cui “costi di funzionamento” dovranno essere ridotti “anche attraverso operazioni di scorporo di ramo d’azienda e del relativo conferimento in altre società partecipate”.
Una scelta suffragata dalla durissima relazione delle direttrici dei dipartimenti Patrimonio e Urbanistica, che denunciano “l’alto costo del personale, circa 43 milioni all’anno“, con dirigenti che guadagnano in media 119 mila euro (ma qualcosa di più l’amministratore delegato), quadri che ne guadagnano 54.600 e impiegati di primo livello a 36.100.
Insomma, una sorta di bengodi per i dipendenti in contrasto con l’opinione delle due dirigenti che scrivono “gli stessi dipendenti, tranne alcuni casi, non hanno lo skill professionale né di formazione tale da adempiere al meglio le richieste dell’amministrazione”. Se ne deduce  che per mantenere in vita Risorse è necessaria “una diminuzione dei costi del personale e una maggiore qualificazione professionale “.

Un giudizio non molto lusinghiero sull’operato di quel Cda nominato da Marino il 7 ottobre 2014 che vedeva Massimo Bartoli Presidente-Amministratore Delegato e consiglieri due funzionari del Comune,  Marcello Corselli e Cinzia Padolecchia. Allora restava in carica il collegio sindacale composto da Giuseppe Sebastianelli (Presidente), Marina Colletta e Alessandro Santi nominati nel 2009 dal sindaco Alemanno.

Ma se quanto relazionato dalle due dirigenti corrisponde alla volontà di ristrutturare Risorse il primo passo da compiere sarebbe quello di sbaraccare il vecchio Cda e procedere immediatamente alla nomina del nuovo. Detto fatto, vien da dire, urge un nuovo Consiglio solo che  ai primi di agosto si riunisce in seconda convocazione l’assemblea del socio Roma Capitale per la nomina  del nuovo cda e dei sindaci in carica da otto anni.

Da quel giorno, e qui sta l’anomalia che cozza anche contro le disposizioni del Codice Civile e il buon senso, l’assemblea è rimasta aperta su richiesta del Comune in attesa delle nomine.
Nel frattempo l’entrata in vigore della legge Madia sulla governance delle partecipate rende incompatibili i due consiglieri dirigenti del comune e Bartoli, che continua a percepire lo stipendio, decaduti per legge ma in prorogatio dal socio.
L’uccellino ci dice che la causa di questo impasse starebbe nel fatto che gli emolumenti previsti per i tre componenti del cda ammonterebbero in totale a 100mila euro contro i 150 attualmente percepiti dal solo presidente e Ad.Ben poca cosa  al netto  per dei professionisti che dovrebbero mettere mano a una difficile ristrutturazione.
Strana tanta micragna per una amministrazione che elargisce stipendi da favola ai vertici di Atac e Ama, ma forse per RpR  non è più una società così importante, anzi, probabilmente rappresenta un peso.

Giuliano Longo

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