Contro i 500 esuberi annunciati a Roma dall’azienda, i dipendenti della società Almaviva Contact, ex Atesia, ieri si sono astenuti dal lavoro per un’intera ora alla fine di ogni turno. In attesa dei prossimi incontri con la società previsti per lunedì e martedì prossimo, i sindacati unitari e di base, chiedono che l’azienda torni sui suoi passi.
Almaviva, che a Roma ha sede in via Lamaro nel quartiere di Cinecittà, si occupa di telecomunicazioni su tutto il territorio nazionale e gestisce call center per numerosi sistemi informativi tra i quali Alitalia, Tim, la pubblica amministrazione: il ministero dell’Economia, l’Imps e il Comune di Roma. Sono i dipendenti di Almaviva a rispondere alle chiamate dello 060606, servizio informazioni comunale. L’intero gruppo conta all’incirca 18 mila dipendenti, in gran parte assunti con contratto a tempo indeterminato e in minima parte con contratto a progetto. In questi giorni il clima nell’azienda non è dei più sereni. L’improvviso annuncio della società dei 500 esuberi con il ricorso alla cassa integrazione, non convince i sindacati, secondo cui la perdita delle commesse non è così cospicua.
Senza contare che l’alternanza di perdita e acquisizione di commesse, in questo tipo di aziende, è un fatto strutturale. Il sospetto delle organizzazioni sindacali è che il voler ricorrere alla cassa integrazione sia solo un modo «per incrementare le casse del gruppo con i soldi dello stato, provenienti dagli ammortizzatori sociali. I soldi di tutti che normalmente servono a pagare le aziende che si trovano realmente in situazioni di crisi». Con la conseguenza che gli unici a pagare la difficile congiuntura economica siano i lavoratori. E anche sulle commesse perse i sindacati denunciano che si tratti solo di spostamenti: «L’azienda ha deciso di spostare una serie di commesse da Roma a Palermo, Catania o nelle nuove sedi del Brasile, dove i costi del lavoro sono più bassi ed è più facile ottenere gli orari flessibili che l’azienda richiede», denunciano i lavoratori Rsu Cgil.
I sindacati chiedono anche un miglioramento complessivo delle condizioni dei lavoratori che, come in molte aziende di call center, non sono tra le più facili. I dipendenti affrontano turni massacranti per uno stipendio medio che spesso si aggira intorno ai 600 euro al mese. Per cui le persone, per ottenere un salario accettabile, sono costrette a sobbarcarsi tante ore di straordinari o a mettere insieme diversi lavori in una sola giornata. Le richieste della Cgil sono un maggiore investimento sul centro di Roma, e sulla qualità con corsi di aggiornamento per i dipendenti. «Il problema è generale e riguarda l’intero sistema Italia che non investe in saperi e tende a risparmiare sulla forza lavoro – denuncia Gianpiero Modena, segretario Cgil Roma Sud – le aziende di telecomunicazione per vincere la gara delle commesse cercano di abbattere i costi risparmiando sull’organizzazione del lavoro con condizioni sempre più massacranti per i dipendenti. A Roma è iniziata la mattanza sociale».
Francesca D’Amico