Caso Cucchi, la Procura: «Fu omicidio»

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Stefano Cucchi è morto in seguito al pestaggio che seguì la notte del suo arresto. Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e il pm Giovanni Musarò hanno chiuso la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sulla morte del giovane geometra e contestato ai tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli Acquedotti il reato di omicidio preterintenzionale. Con loro, accusati di calunnia, il maresciallo allora comandante della stazione dei Carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all’arresto) e altri due carabinieri. Tra i reati contestati anche quello di falso verbale di arresto. Nelle ricostruzioni della Procura i carabinieri avrebbero colpito Cucchi con «schiaffi», «pugni» e «calci» dopo il suo arresto per droga e dopo la perquisizione effettuata nel suo appartamento, provocandone tra l’altro la «rovinosa caduta» a terra «con impatto al suolo in regione sacrale» e cagionando al ragazzo lesioni «guaribili in 180 giorni» e in parte permanenti. Sempre secondo i magistrati di piazzale Clodio che hanno firmato la chiusura delle indagini sulla morte del geometra romano avvenuta nell’ottobre del 2009, la condotta dei militari «unitamente» a quella «dei sanitari che lo avevano in cura nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini», avrebbe causato il decesso di Cucchi. «Le lesioni procurate a Stefano Cucchi, il quale fra le altre cose, durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subito, ne cagionavano la morte» si legge infatti negli atti di chiusura delle indagini. Gli stessi magistrati sottolineano che «in particolare la frattura scomposta di S4 (vertebra, ndr) e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l’insorgenza di una vescica neurogenica atonica con conseguente difficoltà nella minzione, con successiva abnorme acuta distensione vesciale per l’elevata ritenzione urinaria non correttamente drenata dal catetere vescicale a permanenza». Una situazione che nel volgere di pochi giorni, avrebbe finito per accentuare «la bradicardia giunzionale con conseguente aritmia mortale». «I carabinieri sono accusati di omicidio, calunnia e falso – ha commentato intanto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano – Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia».

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