Orfini: “Il Pd? Io l’ho risanato, ora Giachetti può vincere”

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Matteo Orfini fa parte di quella schiera di quarantenni che rappresentano la nuova generazione del Pd di Renzi. Romano, conosce bene il partito percorrendone tutto il cursus onorum sino alla sua elezione a Presidente con l’elezione di Matteo Renzi a segretario nel giugno del 2014. A seguito delle vicende di “Mafia capitale” viene nominato commissario del partito romano nello stesso anno e avvia la sua opera di risanamento alla luce di quel rapporto Barca che traccia un quadro sconfortate dello stato del partito. Lo abbiamo intervistato nel pieno di questa campagna elettorale dagli esiti incerti anche per i suoi partito.

L’impressione è che Giachetti sia stato calato dall’alto senza una discussione nel partito romano. Insomma la ha scelto Renzi punto e basta, o non è così?
È il nostro candidato sindaco perché lo hanno deciso più di quaranta mila elettori con le primarie. Se guardo ai nostri avversari scelti negli accordi spartitori tra partiti o con quattro clic non posso che essere orgoglioso delle modalità con cui abbiamo deciso. Altro che calato dall’alto.

Banale, ma necessaria, una domanda  sull’andamento di questa campagna elettorale. Non le sembra che per Giachetti sia partita in sordina? E adesso come va?
Forse la pensano così quelli che credono che in campagna elettorlae si debba strillare e proporre cose irrealizzabili. Giachetti ha fatto una scelta diversa: dialogo e serietà. E il grande recupero certificato dagli ultimi sondaggi dimostra che ha avuto ragione.

Lasciamo perdere le previsioni, ma non sarebbe stato utile fare di più per ricucire l’unità a sinistra con Fassina, almeno Giachetti al ballottaggio ci arrivava con più tranquillità?
Quella della rottura è stata una scelta unilaterale e immotivata di Sinistra italiana. Noi abbiamo sempre teso la mano, ricevendo in cambio attacchi. Per noi le porte della ricostruzione del centrosinistra restano sempre aperte. Ma la domanda va girata a loro.

E’ la prima campagna elettorale del Pd dopo “Mafia capitale”, si parla di un partito prostrato. Non le pare di aver calcato un po’ la mano nel suo ruolo di commissario con la scusa del rapporto Barca, quello sul Pd ‘pericoloso e cattivo’?
Certo che ho calcato la mano, ma su chi nel partito aveva chiuso gli occhi per troppo tempo e su chi quel partito aveva disonorato. Valorizzando i tanti circoli militanti e amministratori per bene che abbiamo. Ho cacciato gente che qualcuno sbagliando aveva fatto entrare nel pd. Barca aveva ragione da vendere, altro che “scusa”. E se oggi siamo in partita è anche grazie alla radicalità con cui abbiamo voltato pagina. E a un partito che ogni giorno sta nella città a testa alta. In perfetta forma.

Può commentarmi la sentenza del tribunale civile che non contesta il commissariamento mai i metodi con i quali lo ha gestito?
In realtà quella sentenza mi dà ragione sul 90 per cento dei miei atti mentre chiede chiarimenti -che stiamo fornendo- su alcuni passaggi del regolamento del tesseramento 2015. Nella pratica peraltro non cambia nulla perché quel regolamento si riferiva a un anno ormai passato. E comunque tranquillizzo tutti: di certo non arretreremo nemmeno di un centimetro sul lavoro di bonifica e pulizia che abbiamo fatto. Il vecchio partito che aveva allontanato tanti romani non tornerà mai più.

Lei ha avuto la possibilità di chiudere l’esperienza dell’ex sindaco Marino già fine giugno 2015,  perché il Pd non l’ha fatto  senza dover ricorrere a un rimpasto di giunta durato pochi mesi?
Perché era giusto provarle tutte per far funzionare quell’esperienza. E le abbiamo provate tutte.

Concludiamo con  le elezioni. Lei da uomo di sinistra e democratico ha più paura della Raggi o della ‘grande fuga’ dei  romani  dalle urne?
Rispetto tutti gli avversari, ma quando il Pd sa mostrarsi unito e rinnovato non ce n’è per nessuno.

Giuliano Longo

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