Il caso De Vito, presidente del Consiglio comunale di Roma arrestato (e l’assessore frangia indagato), solleva qualche interrogativo non tanto per le imputazioni dalle quali si difenderà lo stesso nel corso del procedimento che non si rileva né semplice né rapido, e nemmeno sotto il profilo politico quando i 5stelle, al governo della Capitale, cominciano ad assaporare l’amaro calice della gogna mediatica.
La nostra preoccupazione, e probabilmente non solo la nostra visto il comunicato di ieri della Cgil (vedi link) sul futuro di questa città, è che la Capitale d’Italia (nonché centro universale del Vaticano che con questa realtà ci convive e la condiziona pesantemente) è letteralmente paralizzata.
Ebbene, la triste storia nasce da lontano (si fa per dire), dalla parentopoli di alemanniana memoria di Atac e Ama che risale ad almeno 10 anni fa. Qui viene scoperchiato un sistema di assunzioni nelle municipalizzate dal quale non furono verginalmente esenti le amministrazioni precedenti di sinistra sino all’ultima di Veltroni, prima della sconfitta del 2008 che portò la destra di Gianni (anche piuttosto affamata) al governo della città con tanto di saluto romano sotto il Campidoglio.
L’ignaro Ignazio Marino, inventato come figura di sindaco dal king maker Goffredo Bettini ispiratore per anni del “modello Roma”, viene subito messo alla gogna per le stronzate degli scontrini del ristorante e della Panda rossa di sua moglie che non paga il parcheggio.
Abbandonato dal Pd viene investito, alla fine del 2014, dallo scandalo di Mafia Capitale che prudentemente lo stesso Procuratore “ammazza mafie” Pignatone definisce ancora oggi “mondo di mezzo”.
Marino tenta di resistere, si prende pure in giunta un altro ammazza mafie come il magistrato Sabella ma non ce la fa, sfiduciato dal suo stesso partito.
L’indagine e i successivi processi scoperchiano un mondo di corruzione al centro del quale ci sarebbe (e il condizionale è d’obbligo sino al giudizio della Cassazione) la connotazione della “nuova mafia” sulla quale il Procuratore, pur schivo dai riflettori, ha presentato un suo recente libro.
Buzzi e Carminati vengono individuati come i padrini della lucrose attività delle coop che spaziano dall’ospitalità ai migranti, al verde pubblico. Che ci sia la mafia come sostiene la sentenza d’appello, o non ci sia, come sostiene la sentenza di primo grado, nun ce ne po fregà de meno, resta il fatto che quella indagine e i successivi processi azzerano una intera classe dirigente di sinistra, più qualche sodale consociativo a destra. In una singolare e permanente liaison fra i mezzi di comunicazione di massa e la Procura che in pratica distrugge vite e carriere prima ancora delle sentenze.
Nel frattempo la Procura, per non farsi mancare niente per la lotta alla corruzione, mette in galera un po’ di impiegati e funzionari collusi con imprenditori corruttori magari per mazzette di mille euro.
Non finisce qui perché sul contestato Stadio della Roma va in galera per un po’ il costruttore Parnasi e tal Lanzalone, uomo di fiducia della Raggi e dei 5Stelle che fa il brasseur d’affaire per conto dell’amministrazione che viene premiato con la presidenza di Acea.
Qui dovrebbe suonare un campanello d’allarme anche per l’entourage della Raggi perché arriviamo, a distanza di pochi mesi, all’arresto del presidente dell’assemblea capitolina avv. De Vito che quasi tre anni fa era in predicato per la candidatura a sindaco di Roma, sostenuto dall’attuale capogruppo alla Pisana Roberta Lombardi, che con Virginia non è mai andata d’accordo.
Questa per sommi capi la storia di un decennio che ha azzerato e sta azzerando una intera classe dirigente riducendo Roma una sentina di corruzione di epoca imperiale di almeno 2000 anni fa.
Ora, noi non diremo “la giustizia deve fare il suo corso” perché a questa formula ipocrita si aggrappano tutti, compresi i grillini, eccetto Marco Travaglio del Fatto Quotidiano che è solito già emettere sentenze per conto proprio, ma vorremmo tuttavia sottolineare alcune implicazioni che scaturiscono da queste vicende che non oserei definire storiche, semmai di ordinario sputtanamento per chi ci casca dentro.
La prima considerazione è che Roma dalla fine del 2014 è paralizzata in nome della onestà tà tà dei Cinquestelle che si parano il culo dalla loro inettitudine a governare, passando carte all’anticorruzione di Cantone e quando possono alla suddetta Procura. Per di più incasinando bandi soggetti a ricorsi e bocciati dallo stesso Cantone e dalla giustizia amministrativa.
Poi c’è la macchina burocratica completamente paralizzata che guarda al pelo dell’uovo delle procedure amministrative e quando può le rimanda alle calende greche, comunque con funzionari che oggi non firmano più nemmeno la carta igienica per paura di qualche avviso di garanzia.
Infine c’è il problema della politica fra l’altro lambita anche in Regione con l’indagine su Zingaretti per illecito finanziamento ai partiti.
Sputtanati i 5stelle con la vicenda dello Stadio e di De Vito; sputtanata la sinistra con “mafia capitale”; sputtanata la destra con la gestione di Alemanno e suoi fratelli, secondo voi l’elettore romano a chi dovrebbe rivolgersi se si andasse a votare domani?
Sicuramente si orienterebbe sull’astensionismo menefreghista almeno in attesa che la sinistra risorga con Zingaretti.
L’astuto Salvini un pensierino su “Roma ladrona” ce lo sta facendo da tempo anche se l’uva “nondum matura est” come disse la volpe che non riusciva ad afferrarne i grappoli. Ma nel frattempo Roma langue strozzata dal giustizialismo, assediata dai rifiuti, attanagliata dai trasporti che non funzionano, abbandonata da importanti aziende, orfana di cantieri che diano prospettiva di lavoro ecc. ecc.
Non basterà certo una Giorgia Meloni che, si ventila, possa essere ancora la prossima candidata a sindaca a risollevare le sorti, perché anche lei, politica navigata, fa parte di quel sistema consociativo che ha retto le sorti della capitale per decenni.
Ma, sia ben chiaro, senza politica non si governa e non bastano certo i commissari alla Tronca per uscire dalla impasse. Forse questo è il quesito che non si pongono certo gli elettori affezionati di questo o quel partito, ma quel 50% di aventi diritto che a votare non ci va nemmeno più. Amen
Giuliano Longo