L’inchiesta su Mafia capitale pare sgonfiarsi, almeno leggendo il lungo elenco di archiviazioni che la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto. Nomi più o meno eccellenti che erano stati inizialmente coinvolti solo come indagati e che non dovranno subire un successivo rinvio a giudizio. Si tratta di 116 persone indagate fra politici, imprenditori e personaggi già noti alle cronache giudiziarie che erano finiti nell’indagine sul ‘mondo di mezzo’, a seguito delle dichiarazioni di alcuni degli imputati, fra i quali eccelleva il loquace Salvatore Buzzi. Il caso più eclatante riguarda il presidente della Regione Nicola Zingaretti che già ieri aveva reso nota la notizia con un comunicato ufficiale dopo aver appreso della archiviazione del fascicolo che lo riguardava per corruzione e turbativa d’asta proprio a seguito delle dichiarazioni Buzzi, sulle quali gli inquirenti non hanno trovato riscontri.
PROSCIOLTI TANTI NOMI NOTI
Ma l’archiviazione è stata richiesta anche per Vincenzo Piso, parlamentare del’ ex “Popolo della Libertà” ed attualmente iscritto al gruppo Misto, indagato per finanziamento illecito. E ancora, Daniele Leodori, presidente del Consiglio Regionale indagato per turbativa d’asta come Alessandro Cochi, ex delegato allo sport della giunta Alemanno. Anche l’ex Ad di Eur spa Riccardo Mancini esce dall’indagine che non riguarda il suo coinvolgimento nella vicenda della tangente per l’acquisto dei filobus della Menarini ed i rapporti con la Finmeccanica dell’ex patron Guaraglini, oggetto di un diverso procedimento. Con lui viene archiviata la posizione Antonio Lucarelli già potente segretario dell’ex sindaco Alemanno entrambi indagati per associazione mafiosa. Nell’elenco figurano anche i nomi degli imprenditori Luca Parnasi indagato per corruzione, il faccendiere ‘nero’ Gennaro Mokbel già processato per riciclaggio nel corso dell’indagine Telecom-Sparkle e di Ernesto Diotallevi, in passato coinvolto in indagini sulla Banda della Magliana. Chiesta l’archiviazione anche per gli avvocati penalisti Paolo Dell’Anno, Domenico Leto e Michelangelo Curti, finiti nel registro degli indagati per associazione mafiosa.
SI SGONFIA LA STRATEGIA DI BUZZI
Cade così in parte la strategia della difesa di Buzzi che ha tentato di coinvolgere nella sua vicenda praticamente tutto l’establishment romano degli ultimi 10 anni. Ma si ridimensiona anche l’impatto accusatorio della Procura su una vicenda, quale Mafia capitale, che ha raso al suolo una intera classe politica. La parola fine a questa vicenda non potrà che venire dall’aula bunker di Rebibbia dove si sta celebrando dal 5 novembre del 2015 un processo che potrebbe arrivare a sentenza in tempi certamente non brevi, per i 46 imputati coinvolti, alcuni dei quali ancora in galera o ai domiciliari. Il nocciolo dell’accusa per gli imputati alla sbarra rimane il reato di associazione mafiosa che prevede durissime pene di detenzione. Ma dopo il polverone mediatico durato per anni e nutrito da intercettazioni e indiscrezioni forse pilotate, comincia ad emergere un quadro più circoscritto sul quale spetta la decisione finale alla X sezione penale.
I PRIMI ARRESTI NEL 2014
A distanza del primo ‘tintinnar di manette’ con gli arresti avvenuti nel dicembre del 2014 cui seguì una seconda ondata nell’estate dell’anno successivo, parecchi imputati, anche eccellenti come Alemanno, sono usciti di scena fra proscioglimenti, assoluzioni, patteggiamenti e lievi condanne, alcuni riacquistando la libertà dopo una breve ma devastante detenzione. In questi casi è stato perlopiù riconosciuto solo il reato di di corruzione e non è escluso, che soprattutto in sede di ‘appello’, la vicenda del ‘mondo di mezzo’ possa subire ulteriori ridimensionamenti. Questi gli aspetti giuridici della vicenda, restano poi quelli politici di un giustizialismo oltranzista che non solo ha nutrito le cronache di questi anni, ma di fatto ha contribuito a spostare il baricentro politico della Capitale consentendo al Movimento 5stelle quella sua plebiscitaria affermazione oggi incrinata dal caso dell’assessora all’ambiente Paola Muraro. Attualmente solo indagata per gli atti compiuti nel corso della sua lunga e ben retribuita consulenza all’Ama, ma che sta mettendo in difficoltà la sindaca Virginia Raggi. Una sorta di nemesi politica per la quale “chi di giustizialismo ferisce di giustizialismo perisce”.
Giuliano Longo