Segreteria del Pd, la faticosa scalata di Nicola Zingaretti

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Dopo l’assemblea dell’Ergife di sabato scorso la candidatura di Nicola Zingaretti rimane l’unica ufficialmente in campo per la segreteria del Pd.

Questa non è la notizia perché il governatore aveva già manifestato le sue intenzioni anche prima delle politiche/regionali del 4 marzo. Una decisione comunque che ha messo da subito in fibrillazione il Pd, almeno la sua ì classe dirigente di amministratori e parlamentari che sono di fatto il partito ormai senza una base di massa e con i circoli in fase di graduale deperimento.

Il fatto che Nicola l’abbia spuntata portando il suo partito a vincere, sia pur di misura, la competizione del regionale e conquistando al centro sinistra alcuni importanti comuni,  segna un punto a suo vantaggio, ma non è garanzia di vittoria nella competizione per la segreteria. 

L’ha fatto capire chiaramente all’ Hotel Ergife lo stesso Matteo Renzi con un lungo discorso autocelebrativo e dannatamente divisivo nei confronti di una opposizione interna che lui intende liquidare al prossimo congresso. Frasi come “state segando il ramo dell’albero su cui sedete” o “al congresso perderete ancora” lasciano il segno. 

Probabilmente le parole del Governatore, dal sen sfuggite, nel corso dell’assemblea “Matteo non ascolta”, sono ben poca cosa rispetto a uno scontro che sarà aspro di qui alla convocazione del congresso e delle primarie che dovrebbero svolgersi prima delle elezioni europee.

Certo la mobilitazione degli sherpa del governatore è in atto e i maggiorenti del partito nel Lazio come il ciociaro De Angelis e il votassimo senatore Astorre sono con lui. La sua corrente nel partito romano è forte, consolidata da 10 anni di potere prima alla Provincia e poi alla Regione. 

L’appoggio del “King maker” Goffredo Bettini oggi eurodeputato, si intravede ancora nella filigrana della sua decisione, ma a Roma se la deve vedere con l’ostilità del presidente del Pd Matteo Orfini che pur avendo inanellato una sconfitta dietro l’altra, ha portato quasi tutti i suoi alle Camere rafforzando la variegata componente renziana dei gruppi parlamentari.

Zingaretti che ha un excursus politico che risale ai giovani PDS, non è uomo degli scontri frontali. Abituato a navigare nei marosi della politica romana fu sollecitato a concorrere alle primarie del 2013 al posto di Cuperlo, sonoramente battuto da Renzi. In fondo ce l’avrebbero voluto D’alema e forse lo stesso Bersani che allora contavano ancora qualcosa nel Pd, ma lui, prudentemente, preferì ritirarsi nell’ombra dell’istituzione che governava, la Provincia. E da quel momento si guardò bene dal prendere di petto il nuovo segretario del partito.

Parve che con il declino di Alemanno lui si dovesse candidare a sindaco di Roma con tanto di entusiastica manifestazione a piazza San Cosimato nel luglio 2012, salvo optare, dopo le dimissioni di Renata Polverini, per la presidenza del Lazio cui avrebbe dovuto concorrere il suo predecessore alla Provincia, Gasbarra invece determinato ad ottenere il paracadute di un seggio parlamentare.

Vince lui nel Lazio e a Roma vince Marino, buttato nella mischia dallo stesso Goffredo Bettini, ma alla fine del 2014 scoppia l’affaire “mafia capitale” che disarciona Ignazio grazie ad una sorta di congiura ordita da Orfini, per conto di Renzi ormai presidente del Consiglio.

Il Pd romano si avvia così, ben prima degli ultimi risultati elettorali, alla debacle con la successiva strepitosa vittoria della Raggi e Zingaretti ancora una volta si ritrae nel suo ruolo istituzionale in una sorta di tregua armata con Orfini che comunque riesce a imporre alla segreteria nel giugno dello scorso anno un suo uomo, il giovane Casu, mentre il governatore si schiera con la minoranza di Orlando.

Nell’imminenza delle regionali del 4 marzo, ancora pochi mesi prima, Nicola tentenna, incerto se ricandidarsi o meno alla Regione con tanta voglia di presentarsi alle politiche come capolista del Lazio al Senato, poi dopo mesi di incertezza decide di concorrere e vince sia pur di misura, unico dopo la debacle del suo partito alle politiche.

Ormai il dado è tratto da tempo e la sua candidatura alla segreteria ottiene il favore della grande stampa con una intervista al Corriere della sera, il sostegno di Repubblica e un occhio benevolo del Messaggero. E anche se lui non ama le comparsate televisive trova il cauto sostegno di Mentana e dei telegiornali Rai. Unico ad aprire ai grillini della Lombardi alla Pisana mentre Renzi sega brutalmente questa prospettiva a livello nazionale.  

Insomma, con una accorta campagna mediatica esce allo scoperto come anti-Renzi sostenuto anche dell’antico establishment piddino/ulivista Veltroni, Prodi, Franceschini, Gentiloni e lo stesso Orlando, assente all’appello solo Cuperlo che forse per ruggini antiche con il governatore, intenderebbe candidarsi di proprio.

Nicola all’Ergife, prudentemente come al solito, non parla per non apparire divisivo come Renzi che probabilmente rilancerà la sua egemonia nel Pd pompando la solita stanca Leopolda di settembre magari tirando fuori dal cilindro il nome del suo fedele candidato, vedremo. 

Nel frattempo la vera forza di Zingaretti è a Roma e nel Lazio, quindi ha bisogno di un sostegno nazionale, così si reca da Sala a Milano dove gode dei favori dell’unico vero zingarettiano locale, l’assessore Majorino, ottiene il sostegno del sindaco di Bologna Merola mentre il Governatore dell’Emilia/Romagna Bonaccini potrebbe addirittura essere il candidato di Renzi.

In Toscana c’è Rossi che una ostentata simpatia per lui e la sua visione unitaria anche a sinistra, ma è passato a Leu e a Firenze comanda un renziano sfegatato come Nardella. 

Incerta la posizione del governatore del Piemonte  Chiamparino forse condizionato da una certa freddezza di Fassino alla candidatura di Nicola e poi, sia ben chiaro, sino al congresso il segretario sarà Martina che potrebbe pure ricandidarsi.

È al sud che Zingaretti potrebbe non sfondare con De Luca in Campania ammaccato da scandali parentali ma fedelissimo di Renzi e in Puglia dove Emiliano come al solito, se ne va per i fatti suoi proponendo il suo di candidato per ricavarsi la solita fettina di potere nel Pd come fece alle primarie del maggio dello scorso anno.

Hic Rhodus hic salta, che è come dire volgarmente “hai voluto la bicicletta pedala” e non sarà una pedalata facile quella di Zingaretti, ma tutta in salita soprattutto quando ti fai nemico un narcisista  di potere autoreferenziale come Renzi  che non perdona, men che mai agli ‘amici’ e ‘compagni’ di partito che lo osteggiano. 

E la Regione? Di qui al congresso c’è tempo e il governatore si avvale di una squadra collaudata, inoltre gode di una sorta di tregua di fatto con grillini, gruppo misto e Pirozzi (i ’responsabili’) che gli garantiranno una certa tranquillità alla Pisana. Semmai il problema si porrà se Nicola dovesse tagliare il traguardo della segreteria, ma questa è un’altra storia.

Giuliano Longo

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