Elezioni regionali, vince Zingaretti: anomalia di un voto contro tendenza che ha valore nazionale

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La vittoria di Nicola Zingaretti (anche se di stretta misura rispetto a Stefano Parisi che ha rimontato il ritardo della sua candidatura e Roberta Lombardi, leggermente inferiore rispetto al risultato dei 5 Stelle a livello nazionale) ha in primo luogo una valenza politica più che numerica.

Intanto perché la larga coalizione del governatore riesce a tenere insieme tutte le forze della Sinistra Sinistra compresi Liberi e Uguali, penalizzati dal voto a livello nazionale, ma anche perché dimostra che la ‘qualità’ del candidato può fare la differenza. 

Se questo possa creare una riflessione nel Pd duramente bastonato dall’insuccesso elettorale, è quantomeno prematuro, ma resta il fatto che il Lazio è una delle regioni dove il Pd si arrocca mentre ormai, visto il successo dei 5stelle, rischia di perdere nelle prossime competizioni quelle del sud quali la Campania e la Puglia.

I segnali di uno sfondamento nei territori anche della nostra area metropolitana da parte dei grillini in primo luogo,  e del centro destra venivano dalle più recenti competizioni amministrative. Esiti probabilmente sottovalutati dalla maggioranza renziana e dal suo leader che ha campato per due anni di rendita su quel 40% di consensi alle europee. E anche su quel milione e 300mila voti conquistato alla primarie a scapito dei circa 700mila voti conquistati da Orlando e dal governatore della Puglia Emiliano.

Nicola Zingaretti si era schierato apertamente con la mozione di Orlando che aveva quasi raggiunto il 20%, con una scelta controcorrente rispetto alla egemonia renziana per la quale il presidente avrebbe potuto pagare un prezzo politico non indifferente.

Ma al di là delle logiche politiche l’impressione è che l’elettorato abbia giudicato il presidente uscente sulla base del profilo istituzionale che si è dato nel corso della campagna elettorale e per i risultati conseguiti dalla sua amministrazione nonostante le critiche sulla Sanità che non sono mancate.

Nella sostanza non un voto ideologico (affermazione tanto cara a Di Maio) ma sull’usato sicuro che in qualche modo ha convinto, fra luci e ombre, quel 30% dell’elettorato del Lazio a votarlo non convinto che l’alternativa di Parisi o della Lombardi fosse convincente.

È comunque una vittoria di stretta misura che rende difficile la governabilità del Consiglio alla Pisana dove per la prima volta si afferma la presenza della Lega di Matteo Salvini che erode consensi ai Fratelli D’Italia che pure la Meloni vantava come forza di maggioranza relativa della coalizione nel Lazio prima delle elezioni.

Se Pirozzi abbia fatto perdere il centro destra è probabile, ma non è detto che non abbia pescato anche dai consensi dei 5 Stelle con il suo populismo di destra e la sua attenzione ai territori, anche marginali della regione.

Rispetto alla fantasiose ipotesi di una leadership futura di Zingaretti nel Pd è nostra opinione che risulti almeno improponibile vista la situazione di quel partito che attraverserà una lunga fase di tormenti politici dopo una sconfitta epocale. Ma se al centro della vittoria di Zingaretti sono stati i territori e le loro esigenze ne deriva una indicazione che probabilmente il partito di Renzi ha sempre sottovalutato nonostante le ripetute sconfitte. D’altra parte Zingaretti non è nuovo ad exploit controtendenza come quando conquistò la Provincia di Roma mentre Alemanno si insediava al Campidoglio con tanto di saluto romano.

Eppure saranno proprio i territori a fare la differenza del consenso politico di una Italia ormai chiaramente spaccata in due, con un nord in ripresa economica nelle mani del centro destra a trazione leghista e un sud, bomba ad orologeria del disagio, dove i 5 Stelle sono ormai egemoni.

Giuliano Longo

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