Panecaldo: «Non avrei firmato dal notaio contro Marino»

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Fabrizio Panecaldo

La crisi di governo e la temporanea caduta di Renzi sul “No” referendario rimette in moto una sorta di amarcord anche nel Pd romano, che a ben vedere potrebbe  far velo a una probabile notte dei lunghi coltelli dopo gli insuccessi e la debacle certificata dai due esiti elettorali, elezioni delle comunali e del referendum. Veniamo così a scoprire dalla pagina Facebook di Fabrizio Panecaldo, capogruppo della maggioranza in Consiglio sino alla caduta di Marino «che nei giorni convulsi delle dimissioni di Marino» lui e altri sette consiglieri del Pd  erano contrarissimi alle dimissioni certificate da un notaio. Ovvero quelle dimissioni chieste ai consiglieri dal commissario del Pd Matteo Orfini che rispettò le indicazioni di Renzi dopo aver pilotato un rimpasto di giunta appena pochi mesi prima. Panecaldo rivela così che lui e altri sette consiglieri erano contrari a questa procedura, ma avrebbero preferito andare in aula e lì dimettersi. Volevano andare in aula – scrive- per spiegare le loro ragioni e non avrebbero votato alcuna mozione di sfiducia al sindaco, ma dopo le sue dichiarazioni questi consiglieri si sarebbero dimessi, nella sostanza evitando le sceneggiata delle firme da notaio. «Alcuni tra noi  -prosegue Panecaldo-  avevano chiare le conseguenze nel non “consumare” i passaggi istituzionali che la politica, soprattutto in certe occasioni, richiede».
E allora perché poi finì con le dimissioni notarili di massa? «Semplice – prosegue- perché in quel contesto io e gli altri sette eravamo in netta minoranza. Se si decide di militare in un partito se ne accettano le regole che poi non sono dissimili da ciò che, comunemente, definiamo democrazia o, più prosaicamente, buon senso. Vince chi ha maggiore capacità persuasiva, colui e coloro che appaiono più aderenti alla realtà. A nessuno di noi venne in mente di rompere per quanto fossimo moralmente ed umanamente…a pezzi».
E allora qual’è il senso della parabola? Di certo non chiama in ballo le decisioni del commissario del partito romano e di chi lo ha ispirato, ma solo fa sapere di non condividere   la scelta “frazionista” di Bersani & Co. Quindi sarà il congresso a decidere ovviamente dopo che tutti i giochi politici per il governo si saranno “consumati” (appunto) a livello nazionale.  In ogni caso l’intento di questa pattuglia di consiglieri di andare in aula non avrebbe spostato gran che la sorte ormai segnata del Marziano. Invece l’opposizione trasparente e pubblica di quelli che Panecaldo definisce “Bersani & Co”, un minimo di danno al premier lo ha arrecato. Il post di Panecaldo invece non si sofferma sulle modalità della defenestrazione di Marino e sulle conseguenze che ha comportato. Anziché rimpiangere la diversa forma, notaio si notaio no, sarebbe stato utile discutere allora quella scelta e chiedersi oggi a chi ha giovato. Se si fosse andati a votare nel 2018 probabilmente Virginia Raggi (o altri pentastellati) avrebbero vinto comunque, ma forse la competizione non sarebbe stata persa in partenza come lo è stata quella di pochi mesi fa.  Quindi non è detto che l’effimera disciplina di partito finisca per risolvere problemi che ad esempio nel Pd romano (cattivo e pericoloso come lo definì il prof Barca) non furono nemmeno discussi, ma decisi d’autorità.
Balthazar

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