I rapporti tra aziende e lavoratori hanno subito delle sostanziali modificazioni negli ultimi anni. Da una parte la velocità con cui circolano le informazioni e dall’altra le azioni di governo hanno contribuito a una rivoluzione nel mondo del lavoro. Dante Iannuzzi, segretario Regionale dell’UGL Informazione, lavora presso la Rai, che rappresenta, indubbiamente, un punto privilegiato di osservazione. A lui abbiamo sottoposto alcune domande sul sindacato e sul ruolo che deve avere in un contesto complesso come quello della Tv di Stato.
“La società è cambiata profondamente con l’avvento della rete – ci ha risposto. Le persone formano gruppi per interessi, passioni, studio, lavoro ecc. Questa evoluzione della “interazione” si riflette anche a livello sindacale nel suo modo di comunicare. Per questo motivo le problematiche lavorative che spesso mi trovo ad affrontare al livello regionale si riflettono, inevitabilmente, a livello nazionale.
Secondo lei il sindacato ha preso coscienza di questi mutamenti?
Direi almeno in parte utilizzando strumenti e tecnologie, ma molto può ancora essere fatto. Dal punto di vista dei rapporti, invece, si devono superare gli stereotipi di contrapposizione degli anni ’70. Oggi serve collaborazione tra azienda e dipendenti per garantire futuro a entrambi. Un’azienda che funziona bene può garantire continuità lavorativa. Inoltre, quando i rapporti sono distesi aumenta il senso di appartenenza aziendale e di conseguenza la produttività, che non si traduce esclusivamente in prodotto realizzato, ma in idee, proposte, sperimentazioni.
Si parla spesso di costi delle risorse interne e ricorso agli appalti come realtà contrastanti. Come vive il sindacato questa situazione?
Il concetto di “contrasto” e “contrapposizione” tra risorse interne e appalti nasce nel momento in cui non vengono saturate le risorse interne per lavorare, ma si fa ricorso con superficialità all’appalto. Le due realtà hanno sempre convissuto in equilibrio come è giusto che sia, ma fondamentale è attuare politiche gestionali del personale che non mirino a delocalizzare all’esterno le attività, in particolare quelle storiche della Rai.
Penso ad esempio a figure professionali di altissimo livello come decoratori e scenografi, solo per fare un esempio, che rischiano di sparire. Quindi non possiamo guardare al futuro senza il timore di veder sparire un know how che ormai è da considerarsi un patrimonio artistico.
Parliamo di gente che “ha fatto” la televisione. Poi è chiaro che l’evoluzione in atto nel mondo del lavoro ha fissato come elemento cardine quello della flessibilità lavorativa. Questa prospettiva in parte ha messo in crisi un sistema basato su “scatole stagne”.
Eppure va intrapreso un percorso di valorizzazione e rivalutazione delle figure professionali per superare i vincoli presenti e lavorare insieme a una Rai che sia veramente grande.
Cosa propone il sindacato per il rilancio del servizio pubblico radiotelevisivo?
La Rai ha numerosi ambiti di rilancio. Alcuni passano inevitabilmente attraverso l’innovazione tecnologica che non è, come alcuni sostengono, solamente un costo. In realtà, per quanto riguarda la Rai, è sempre più spesso il know how interno a indirizzare il mercato.
Infatti, non è inusuale che prodotti venduti all’azienda di Stato vengano analizzati internamente per consigliare modifiche che consentono poi alle società che li hanno proposti di vendere queste produzioni in Europa e nel mondo.
Ovviamente esiste la necessità di una razionalizzazione del lavoro in funzione dei costi. Per fare un esempio su tutti posso dire che la Rai acquista immagini e contenuti da società esterne a fronte del fatto che ogni giorno riprendiamo e cancelliamo infinità di contenuti. Ora, premesso che non tutto può essere registrato e conservato, è pur vero che mantenere i contenuti più importanti ci garantirebbe di non doverli acquistare esternamente. Ecco per me questo è un chiaro esempio di razionalizzazione.
Cos’ha determinato il Jobs Act nella realtà aziendale della Rai e come sarà il lavoro per i neo assunti?
Il Jobs Act ha creato iniquità tra lavoratori della stessa azienda, generando una disparità di trattamento ingiusta. La tutela dei lavoratori nella continuità lavorativa non è un capriccio da sindacato nostalgico, ma una necessità sociale.
Garantire un futuro a un lavoratore vuol dire dargli modo di affrontare una progettualità ad ampio respiro che si riflette anche sul mercato con gli acquisti. Chiaramente la solidità lavorativa può spingere ad acquisti strutturati come comprare una casa, mentre la “precarietà a tempo indeterminato” indirizza maggiormente le risorse del consumatore su beni con costi molto più ridotti, come ad esempio gli acquisti online…
E’ come sempre una scelta politica, ma noi siamo convinti che garantire un futuro a ogni lavoratore sia l’unica via percorribile per avere solide basi nella nostra nazione.