Da qualche giorno un drappello di parlamentari (poco informato sulle complicate questioni Rai) ha partorito una serie d’interrogazioni, e difese d’ufficio verso Giovanni Minoli. Già capostruttura negli anni ’80, già direttore di Raidue, della Struttura Tematica FORMAT, già direttore di Rai Educational, di Rai 150, di Rai Storia, La Storia siamo Noi, e chi più ne ha più ne metta. Tanti titoli dirigenziali che però rappresentano (visivamente) sempre la solita canzone, un grande MIXER. Diamo atto a Minoli di avere inventato negli anni ’80 una nuova maniera di proporre le interviste ai grandi personaggi, e niente più. Solo e sempre la solita messa cantata, il solito cappello introduttivo a documentari realizzati da validi collaboratori (anche pagati male). Ancora oggi lo vediamo, spesso anche pettinato male. Ora basta, scaduti tutti i festeggiamenti per i “150 anni”, scaduto il contratto per “La Storia siamo Noi” Minoli può prendere un meritato riposo, e lasciare spazio ai giovani. Tra l’altro in questi anni il “Giovanni Nazionale” non può lamentare di non essere stato servito e riverito, premiando anche alcuni minoliani di ferro, da Sveva Sagramola, Piero Corsini, Stefano Rizzelli (l’unico molto apprezzato), e tanti altri.
La Rai assediata dall’interno e dall’esterno, grazie alla temerarietà del povero Gubitosi, sta cercando di scrollarsi da dosso una serie di “vampiri” della comunicazione che continuano indisturbatamente a pretendere e ad ottenere incarichi (honoris causa) con compensi fuori linea, facendo sempre lavorare gli altri, confondendo l’interlocutore, spettatore, convincendo il pubblico che senza di loro la Rai non può andare avanti. Il parlamento non aiuta, creando confusione proponendo una serie d’interrogazioni parlamentari senza fondamento alcuno, solo per partigianeria o per interessi personali. Anche le fantomatiche associazioni di consumatori (i cui iscritti non è dato sapere nomi e quantità) quotidianamente assediano “il cavallo”, alimentando una sana sfiducia nella gestione del servizio pubblico, che ricordiamo sempre a tutti, è la più grande azienda italiana (non la Fiat).
Per quanto riguarda la presunta crisi dell’intrattenimento, lo consideriamo un periodo di pausa del telespettatore verso gli spettacoli Rai di prima serata. Se il pubblico apprezza di più la fiction che fiction sia. I soldi della pubblicità, sempre soldi sono. Basta poi lamentarsi del servizio pubblico e del canone (30 centesimi al giorno, contro i 5 euro dell’abbonamento Sky). Nonostante l’evasione da parte dell’italiano incivile (per natura) mi sembra che la Rai continui a garantire un buon livello qualitativo. E’ ora di inserire il canone nella bolletta della luce (come nei paesi più civili) o nella tassa per i rifiuti…a furia di dire che la tv pubblica è un’immondizia sarebbe l’azione più giusta!! Si fa per dire…scriverebbe Minoli: “La Monnezza siamo Noi”, questo sarebbe il giusto incarico!
Carlo Brigante