Nel primo sabato della stagione televisiva i risultati dell’Auditel portano con sé un bel raffreddore ai due contendenti Rai e Mediaset. I due varietà per eccellenza, quelli più blasonati, quelli più costosi, diciamolo pure, portano a casa un misero risultato che non sfonda il muro del 20 nemmeno con le capocciate.
IL VIRUS AMERICANO – Si dirà che la colpa è di un occasionale virus proveniente dall’America dal nome neanche tanto minaccioso: “Us Open”, roba da poco, solo la finale di un torneo di tennis che ha avuto la sfortuna di diventare storica all’improvviso con due giocatrici italiane a contendersi il titolo. Un evento che ha totalizzato il 10% sui due canali che lo hanno trasmesso in chiaro (Eurosport e Deejay Tv di proprietà di Discovery Channel Italia, leggi SKY) e che ha convinto il sempre indaffarato Renzi a metter su in fretta e furia un contestatissimo volo di Stato per essere lì presente a twittare e a congratularsi con le due protagoniste. Una leggero raffreddore da fine estate insomma o, forse, è qualcosa di più serio, una malattia ben più grave… La febbre del sabato sera.
LA FEBBRE DEL SABATO SERA – La febbre del Sabato sera, con la S maiuscola, come si confà ai varietà seri, è una malattia che colpisce principalmente i soggetti anziani sia in termini di edizioni che di idee. È una malattia subdola che si trasmette attraverso il pubblico a casa e che erode il bacino di utenza anno dopo anno. Dopo accurati studi la scienza medica ha forse trovato una spiegazione nella noia infinita che il pubblico prova per dover assistere a uno spettacolo sempre uguale a se stesso e per la lunghissima ed estenuante sessione a cui è sottoposto a ogni singola visione. Al pubblico poco importa che per contendersi quel punticino si fa a gara “a chi ce l’ha più lungo”, il minutaggio. Per il pubblico sono programmi che cominciano alle 21 e finiscono a mezzanotte e mezza. Vabbè che sono anziani e dormono poco ma tre ore e mezza a veder cantare bambini pure il più allenato dei telespettatori viene colto da piaghe da decubito.
LE MESSE CANTATE – Per una ironia della sorte tutta italiana, nel paese dove la certezza della pena è una chimera e la giustizia sembra possedere sempre un cavillo nascosto, la TV si affida a un giudizio netto, spietato e inoppugnabile, tranne qualche ripescaggio qua e là e una spruzzata di democrazia col sempreverde e sempre più costoso televoto. Ci sono giudici ovunque, sempre pronti con le loro palette, i loro commenti sferzanti, i loro complimenti pomposi, la commozione per la determinata esibizione. Una messa cantata che può andar bene un anno o due e che invece ci accompagna dal 2008 come nel caso di “Ti lascio una canzone” di Antonella Clerici. Mediaset vince la serata con un format più giovane, quel “Tu si que vales”, condotto da Maria De Filippi, Rudy Zerbi e Gerry Scotti, la cui somiglianza con “Italia’s got talent” è scongiurata da una clessidra e da una bacchetta magica, ma deve fare i conti con i segni dell’invecchiamento precoce già alla seconda edizione. Un programma senz’anima che pensa di risolvere il suo non essere in diretta arricchendo le situazioni con artifici grafici degni di “Paperissima”, per non parlare dell’uso e abuso dei rallenty che nemmeno più nei film coreani si usano.
LA DIABOLICA PERSEVERANZA – L’analisi degli ascolti di questi anni non è la specialità dei piani alti di viale Mazzini. Prendiamo proprio “Ti lascio una canzone”: nel 2008 fa il 26,61% di media, nel 2009 il 33,29,% nel 2010 29,42%, risultati eccellenti con una media di telespettatori tra i 5 e i 7 milioni. Ma quando la quarta edizione, guarda caso fatta sempre nel 2010, perde 8 punti e totalizza un 21% e negli anni successivi si inanella un 19,47, un 19,43 e un 18,79 il segnale che il paziente non sta bene sono abbastanza chiari. E invece no, la diabolica perseveranza è quella qualità che in Rai ha un fascino irresistibile. Per la cronaca, la prima puntata del programma della Clerici ha totalizzato il 17… ma, per adesso, è ancora colpa del tennis.
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