Rai, lettera aperta al segretario Cgil Susanna Camusso

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Lettera aperta al segretario Cgil Susanna Camusso dell’associazione Rai Bene Comune IndigneRai

«Correva l’anno 1970, nelle case degli italiani dai teleschermi, un giovane presentatore apriva la trasmissione urlando “Fiato alle trombe Turchetti”. Rischiatutto attirava davanti ai teleschermi milioni di persone certe che avrebbero trascorso una serata di spensierata allegria. La Rai era una certezza, non solo intrattenimento ma informazione e conoscenza erano accessibili a tutti grazie al piccolo schermo. Quasi mezzo secolo dopo la società è profondamente cambiata come sono cambiati i media a disposizione dei cittadini, ma non sono cambiati gli interessi dei cittadini. Informazione, Cultura e Divertimento sono ancora “beni preziosi” cui tutti hanno diritto di accedere. L’offerta è infinita, per chi ha le risorse economiche per accedervi, ma nella babele dei media si annida l’informazione pilotata, i consigli interessati e la cultura usa e getta. Osservando la collettività che ci circonda avvertiamo con un certo disagio l’assenza di valori, del senso civico e la scomparsa del piacere della comunità, una sorta di imbarbarimento della società. Si è passati dagli eccessi delle ideologie all’assenza dei valori. Allo stato delle cose sicuramente ha contribuito il livellamento verso il basso del Servizio Pubblico che è entrato nel mercato degli interessi di parte allontanandosi dal Bene Comune.
Ad oggi il contratto Rai di servizio 2013/2015 è scaduto, la CONCESSIONE STATO RAI, come previsto dalla famigerata legge Gasparri, scadrà tra poco più di 100 giorni, e nessun testo per il rinnovo è in discussione, la riscossione del canone in bolletta è diventato un caso che non è stato tecnicamente risolto oltre a nascondere illegittimi AIUTI DI STATO.
La Rai, che ci sforziamo a considerare il polo culturale e informativo più grande del paese con dodicimila dipendenti e un indotto notevole, si ritrova senza mission, senza prodotto, senza risorse economiche certe, anche il paese dunque si ritrova privato di una preziosissima risorsa. A distanza di quasi cinquant’anni le trombe della Rai non rallegrano più nessuno ma suonano “Il Silenzio”, un silenzio che tocca il cuore, che strappa le lacrime, che toglie libertà di pensiero e di espressione.
Il 2016 corre il rischio di passare alla storia televisiva come l’anno della scomparsa del SERVIZIO PUBBLICO RAI.
Segretario Susanna Camusso, nel 2014 lei ha inviato ai lavoratori RAI il seguente messaggio:
“Il pluralismo dell’informazione, il ruolo del servizio pubblico, sono elementi fondanti di una democrazia compiuta. Un bene da difendere e rinnovare, riformare e non ridimensionare.
Gli ultimi provvedimenti del governo, caratterizzati vanno in direzione opposta, mettendo in difficoltà il ruolo insostituibile del servizio pubblico radiotelevisivo nella vita del Paese.
Un servizio non solo informativo, ma anche di produzione culturale, di istruzione e intrattenimento. L’intero comparto del sistema audiovisivo, il ruolo stesso delle lavoratrici e dei lavoratori che sono l’anima del servizio pubblico.
Per questi motivi sostengo le vostre iniziative.
È giusto mobilitarsi contro una logica che mira a determinare risparmi applicando tagli lineari che puniscono non solo i lavoratori e le lavoratrici ma gli utenti stessi del servizio pubblico che va difeso e riformato a partire da un punto fermo: la centralità del lavoro e il ruolo insostituibile del servizio pubblico.”
Queste bellissime parole sono state pronunciate in piena privatizzazione di RAI WAY e nella fase embrionale della devastante “riforma” RAI da poco approvata. Da quel giorno la situazione è oltremodo peggiorata, abbiamo inviato una lettera al Presidente Mattarella con la preghiera di evidenziare alle camere le criticità di una riforma che consegna la RAI nelle mani del governo. La nostra richiesta è caduta nel vuoto, è l’ennesima “riforma” passata nel silenzio e nell’immobilità generale di fronte ad un governo autoritario e lacerante per il già compromesso tessuto socio culturale del nostro povero paese.
Ringraziamo la SLC CGIL per aver dato luogo ad un confronto sul tema del servizio pubblico, uno, il più recente è avvenuto il 12 giugno del 2015 durante la discussione al senato della RIFORMA RAI presso la sede centrale della CGIL di Roma alla presenza di alcuni senatori di maggioranza e opposizione. Tanti i propositi e le belle parole ma nulle le iniziative, insomma “sotto l’evento niente”, mentre nei palazzi del potere, a dicembre 2015, con gli alberi di natale già addobbati, pochi e distratti parlamentari approvavano maleducatamente per alzata di mano la RIFORMA SULLA GOVERNANCE DELLA RAI SERVIZIO PUBBLICO.
Di fronte a tanta tracotanza e ignoranza, di fronte alla spregevole tradizione di nominare direttori di rete senza chiari riferimenti culturali e competenze, senza una mission e un prodotto chiaro da offrire a un utente sempre più stanco, offeso e rassegnato non si può rimanere ancora immobili, non si può riflettere o capire. Occorre agire in nome dell’antica tradizione culturale di un sindacato che si onora di avere le sue nobili origini nei messaggi di Giuseppe di Vittorio.
Senza una prospettiva e visione, senza indipendenza economica, senza una linea editoriale chiara e una concreta riflessione sul prodotto da offrire al cittadino, si lascia spazio alle nubi oscure della disoccupazione. Già perché se la concessione non sarà rinnovata a RAI, tutto o parte del canone sarà distratto dalle casse RAI con evidente ridimensionamento occupazionale del primo polo culturale del paese che sarà ridotto ad un polo informativo ancora più asservito ai governi.
A nulla serviranno le lodevoli iniziative sindacali della CGIL, la difesa del lavoro e dei diritti civili se non saranno raccontate correttamente da una TV ora sempre più al servizio di chi dichiaratamente al governo disprezza i sindacati.
Occorre tornare in piazza, occorre rivolgerci all’Europa, occorre intraprendere iniziative referendarie per far tornare al centro il tema del servizio pubblico e dell’informazione con tutto l’indotto professionale e lavorativo che ne consegue.
Spetta a noi dipendenti RAI ma spetta anche ad un sindacato serio amplificare e coordinare le azioni e dichiarare infine in quale RAI desideriamo essere fieri di lavorare dal maggio del 2016 in poi.
Il sindacato CGIL, che tante volte ha dimostrato sensibilità per i temi di grande interesse sociale e civico, deve avere il coraggio di rompere il silenzio, di affrontare con forza la questione centrale della realizzazione di un COMPLETO E LIBERO SERVIZIO PUBBLICO. Tutte le altre questioni Rai saranno più facilmente affrontabili se sarà sciolto questo enorme nodo poiché tutte le altre questioni sono solo la diretta conseguenza di questo. Invitiamo pertanto i vertici della Cgil a spendersi affinché questo non sia ricordato come l’anno della fine del servizio pubblico ma come l’anno in cui le forze sane del paese si sono coalizzate per la rinascita del Servizio Pubblico.
Siamo in colpevole ritardo ma possiamo ancora rappresentare un pezzo della società che non ha perso la speranza.
“Io non sono, non ho mai preteso, né pretendo di essere un uomo rappresentativo della cultura. Però sono
rappresentativo di qualche cosa. Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere che aspirano alla cultura, che si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado del sapere che permetta loro non solo di assicurare la propria elevazione come persone singole, di sviluppare la propria personalità, ma di conquistarsi quella condizione che conferisce alle masse popolari un senso più elevato della propria funzione sociale, della propria dignità nazionale e umana… La cultura non soltanto libera queste masse dai pregiudizi che derivano dall’ignoranza, dai limiti che questa pone all’orizzonte degli uomini: la cultura è anche uno strumento per andare avanti e far andare avanti, progredire e innalzare tutta la società nazionale…”
Giuseppe Di Vittorio».

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