Tanto ci era parso noioso, manierato e turistico il Montalbano delle due precedenti e trionfali puntate (11 e 18 febbraio) tanto ci siamo invece divertiti ieri sera con la Stagione della caccia dove il suddetto Montalbano era assente (essendo la vicenda ambientata nel 1880 o giù di lì), ma di Camilleri invece ce n’era moltissimo (a partire dalle massicce dosi di ironia e paradossalità).
Non che mancasse il delitto (i morti assommavano a sei o sette, non ricordiamo esattamente), ma noi sul divano ne conoscevamo dal principio il colpevole – il bel farmacista, come anticipato dal Camilleri medesimo – e ci restava solo da venire a scoprire che le motivazioni risiedevano nella voglia di vendicare un’umiliazione subita da fanciullo. La vendetta in effetti va felicemente in porto, ma come tutte le vendette lascia l’amaro in bocca, e viene sostituita dalla noia fino al punto che per liberarsene il colpevole si autodenuncia.
Una vicenda lineare entro un affresco di tipi umani incastonati in una sceneggiatura assai serrata e benissimo recitata.
Quel che a noi è piaciuto – e cioè il venir meno dell’abbrivio da telenovela – molti lo hanno scartato al primo sguardo e così Camilleri rispetto a Montalbano ha visto allontanarsi 3 milioni di spettatori. Chi e dove? Un po’ chiunque e un po’ dovunque con due punti di parziale resistenza: 1) in Sicilia, e possiamo immaginare il perché; 2) tra i maschi dai 25 ai 44 anni, e qui il perché è difficile rintracciarlo. A meno di non dare un peso rilevante alla astuzia di avere infilato un paio di scene di sesso esplicito, degne del Trono di Spade atte a tirare su il morale dell’audience più marginale.
Ma anche, e qui sta il bello, a riposizionare il confine erotico dell’ammiraglia Rai. Il che, venendo al pratico, influirebbe in prospettiva e non poco sull’equilibrio del mercato pubblicitario della tv generalista, dove da decenni lo strutturale gioco delle parti è che Rai1 sia pudica quanto Canale 5 è scollacciato.
Colpiti da tanta novità abbiamo fantasticato che quelle scene, magari riservate al solo mercato estero, fossero, sì e comunque, previste dalla sceneggiatura (del resto erano tutt’altro che gratuite ai fini della caratterizzazione dei personaggi) e dalla commessa di produzione (diciamo prima della fine della precedente legislatura). Per cui l’elemento di rottura sarebbe costituito non dall’averne prevista la realizzazione ma dalla decisione più recentemente intervenuta di tenerle anche nella edizione italiana.
Vuoi vedere, ci siamo detti, che per ragione o per istinto qualcuno in Rai ha preso a muoversi come se il Duopolio stesse davvero per terminare. E come se ci fosse un nesso con la propensione della nuova Lega (Destra di sempre) a starsene alla larga da Berlusconi (come Salvini ha esplicitato anche oggi a Repubblica) a cominciare intanto dall’usare la Rai per sé anziché per reggere il moccolo alla rendita di posizione commerciale di Mediaset.
Del tutto, ovviamente, non abbiamo ovviamente alcuna prova. Ma a volte a pensar bene ci si indovina
Stefano Balassone