Secondo Leibniz (il Newton coi crauti) l’individuo è una monade e ognuno se la canta e se la suona per cui, diciamo noi, conosce solo ciò che riconosce. Ma come la mettiamo con la comunicazione che, lo dice la parola stessa, è uno scambio di stimoli e concetti? Come la mettiamo col fatto che le persone, hai voglia a essere monade, sono anche animali sociali, partecipi di un branco e dunque di qualcosa che va al di là dei singoli?
La risposta è semplice: ognuno si sceglie il branco che lo rispecchia e ci resta, salvo cataclismi e illuminazioni, endo-comunicando fin che campa. Ecco perché, scusandoci del disturbo con Leibniz, il pubblico non esiste, ma abbiamo piuttosto a che fare con platee monadiche, con branchi che si muovono compatti, schivando o scegliendo le offerte secondo la propria misura.
Prendiamo ad esempio i circa sei milioni di spettatori che usano seguire i vari talk show di informazione. Tra essi il branco di attuali giovani-adulti che segue soltanto Le Iene perché gli somigliano. Quei trenta-quarantenni sono disegnati così (ci scusi anche Jessica Rabbit) e si ritrovano nel gabibbismo situazionista de Le Iene nonostante o forse proprio perché esso appaia a noi –che siamo diversamente disegnati- talvolta divertente, ma mai penetrante.
Un folto gruppo di loro genitori e nonni si appisola invece davanti ai talk show di taglio dialogico, con la gente che parla e magari si accapiglia. Ma il gruppo è in realtà suddiviso in due branchi.
I meno istruiti e più anziani (i bisnonni, diciamo) serrano per bene la porta di casa per tenere fuori il mondo e poi corrono a rinfocolare le loro indignate paure con Nicola Porro (Quarta Repubblica, al lunedì) e Paolo del Debbio (Diritto e Rovescio, al giovedì) oltre che presso la coppia di fatto Berlinguer-Corona (Carta Bianca, di martedì). Per contro, nonni e genitori che abbiano passato tutti i gradi della scuola dell’obbligo, scansano i titoli che abbiamo nominato e si volgono il lunedì a Report, il martedì a Floris, il giovedì a Formigli.
L’analisi potrebbe essere condotta con l’appoggio dei dati Auditel, anche per tutti gli altri programmi e ne verrebbe fuori che il fenomeno della comunicazione ha l’aspetto di un campo trincerato e non di una prateria mentale aperta alle scorribande della sorpresa e della scambio spiazzante e ri-creativo. E i social sono sopraggiunti a rinforzare e approfondire le trincee dove ora ci si affratella in base ai cavoli condivisi (“amici” e “followers”), dove uno vale uno e, per la forza stessa del contarsi, ha conferito ai diversamente incavolati un inusitato peso politico-elettorale.
Sempre che la capra della democrazia la scampi alla indigestione di tanti cavoli.
Stefano Balassone