Rai, quel pomeriggio (del sabato) di un giorno da cani

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Parliamone sabato, e invece ne parliamo oggi a bocce ferme. Non dei risultati, no, ormai questi non interessano più a nessuno nella nuova Rai in bolletta (la nostra) e orientata al “servizio pubblico” e alla “qualità”.

Basta trovare il momento in trasmissione per piazzare la frase giusta: “perché questo è servizio pubblico” oppure “perché questa è la televisione di servizio che noi amiamo fare” e come per incanto si cancellano di un colpo tutti i peccati, tutta la noia, la ripetitività, la mancanza di un’idea anche piccola.

Peccato che con il servizio pubblico c’entrino spesso ben poco e attingano invece molto più spesso ad un tv che copia se stessa, incapace di produrre contenuti, legata ad una pesante catena che la trascina verso il fondo. Ma torniamo a noi. “Vita in diretta” presenta: “Parliamone sabato“. Perché? Può sembrare una buona idea l’ottimizzazione delle risorse e invece il risultato è che le stesse facce, le stesse forze, gli stessi autori arrivano spompati al sabato per produrre “ai mezzi” una trasmissione che non può che rifare il punto della settimana. Il problema dicevamo è complesso e le colpe sono distribuite a vari livelli. La Rai non rischia, non realizza programmi nuovi se non in terza serata e quando lo fa non sempre coglie nel segno di una reale innovazione. La Rai non investe in volti nuovi e quei pochi provengono da Mediaset o Sky o La 7 ma raramente da casting interni. La Rai è prigioniera della mentalità del servo che è più realista del re: non c’è bisogno di censura in Rai, ci pensa l’autocensura a fare in modo che non si affrontino argomenti di grande attualità che potrebbero disturbare il “Renzi” di turno e così Twitter e Facebook magari esplodono sotto il peso di una notizia ma non ne sentirete parlare nemmeno un secondo su di un canale nazionale.

La Rai soffre di una mancanza cronica di risorse: sono anni che è così e non si capisce dove diamine vadano a finire i soldi del canone nemmeno adesso che sono certi. Le squadre spesso fanno turni massacranti, ci sono migliaia di dipendenti ma poi si va in appalto perché “non ci sono i mezzi”. Ad ogni nuovo DG/AD, o come diamine decidono di farsi chiamare, ci sono decine di nuovi dirigenti che vengono nominati senza sostituire quelli precedenti ai quali viene lasciato lo stipendio e la pianta di fico di fantozziana memoria. Ma di lavorare neanche a parlarne. Quindi non possiamo incolpare Paola Perego se fa un programma che non viene guardato di sabato pomeriggio.

Qualche giorno fa ha rilasciato un’intervista di una disarmante onestà intellettuale nella quale ha dichiarato di non aver avuto obiettivi d’ascolto, che il programma è un work in progress (della serie: ancora non abbiamo capito che fare), che è un programma che vuole raccontare il paese attraverso gli occhi degli italiani, esattamente nel segno delle indicazioni del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto (sic) e che i temi che si vogliono affrontare saranno tra i più svariati. Non è colpa della Perego, la colpa è di chi ce l’ha messa la Perego lì e viene anche nominato poche righe dopo di quella illuminante intervista: “Quando il direttore di Rai1 me l’ha proposto ci ho dovuto pensare un poco”. Ci ha pure pensato capite? Il livello è questo. Bisognerebbe chiedere a “Fabiano il giovane” come gli è venuto in mente di continuare a puntare su Paola Perego dopo che colleziona flop da anni non da una stagione, da anni.

É il direttore e il suo libro magico del marketing, visto che viene da lì, gli dice che è comunque un volto riconoscibile e tutto sommato apprezzato dal pubblico di Rai Uno e pertanto è bene averlo in scuderia? Bene! Legittimo. Ma almeno che le si diano i mezzi, la struttura, le idee per poter valorizzare queste qualità che ancora non son state tradotte in numeri.

Troppo facile sbandierare ai quattro venti che gli ascolti non sono il timone per poi twittare ringraziamenti festosi per i 3 milioni e mezzo di spettatori e il 19,4% di share sullo show di Zucchero. Gli ascolti vanno bene solo quando sono buoni mentre quando si totalizzano numeri imbarazzanti ad una cifra sono carta straccia? Davvero una geniale strategia di marketing.

BOB