Trump taglia il traguardo dei 100 giorni da presidente degli Stati Uniti. Ma cosa pensano di lui a distanza di oltre 3 mesi? Si tratta di un traguardo perlopiù simbolico ma significativo: di solito si da’ importanza ai primi 100 giorni perchè da questi si prova a tracciare il primo, parziale, bilancio di una nuova amministrazione.
Talvolta, proprio da ciò che accade in questo periodo iniziale è possibile trarre molte indicazioni su ciò che avverrà nel prosieguo del mandato.
Non è un caso che molti politici in campagna elettorale promettano di fare determinate scelte rilevanti proprio nei primi 100 giorni. Perche’ scegliere proprio i primi 100 giorni per prendere certi provvedimenti? In effetti, i problemi più spinosi che possono affliggere un Paese (a maggior ragione un Paese enorme e variegato come gli Stati Uniti) richiedono certamente tempo per essere studiati e affrontati nel modo giusto: nessuno puo’ pensare di risolvere problemi complessi in poche settimane. Inoltre, una nuova amministrazione ha per definizione bisogno di un po’ tempo per fare esperienza e abituarsi ai meccanismi di un governo. Le risposte sono essenzialmente di due tipi: in primo luogo, agli elettori piace sentirsi dire dai candidati, in campagna elettorale, che i problemi ritenuti piu’ gravi ed urgenti verranno affrontati da subito, senza esitazioni; serve a dare l’impressione che il proprio voto serva a cambiare le cose da subito, che il suo esercizio sia un’azione efficace che vale davvero la pena di compiere. In secondo luogo, i primi 100 giorni sono il momento ideale per sfruttare la cosiddetta “luna di miele”. Con questo termine si designa solitamente il periodo iniziale di un’amministrazione, che beneficia della fine delle ostilita’ data dalla fine di una campagna elettorale a volte lunga e sfiancante (tanto per i candidati quanto per gli stessi elettori) e dell’effetto novita’ che porta a giudicare positivamente – o comunque in modo piu’ benevolo del normale – i primi atti di una nuova amministrazione per il solo fatto di essere tali. E com’e’ stata allora questa “luna di miele” di Donald Trump? La risposta e’: molto male. I numeri rilevati dai sondaggi lasciano ben poco spazio a sfumature e interpretazioni. Negli Stati Uniti, molto piu’ che in Italia, si effettuano un gran numero di sondaggi riguardanti l’approvazione dell’operato del presidente. Il perche’ e’ facile da intuire: trattandosi di una figura sottoposta direttamente al voto popolare (gli Usa sono un sistema presidenziale, dove il capo del governo e’ eletto direttamente dal popolo), la cosa piu’ importante per un presidente che voglia essere rieletto, o comunque far eleggere un candidato del suo stesso partito dopo di lui, e’ essere popolare in cio’ che fa.
In questo Trump non se la sta cavando molto bene. Due sono, essenzialmente, le misure su cui Trump aveva promesso maggiormente di spendersi sin da subito durante la campagna elettorale: il controllo dell’immigrazione e la riforma sanitaria. Per quanto riguarda il primo aspetto, Trump ha provato a fare qualcosa fin dai suoi primissimi giorni da presidente, con il cosiddetto “muslim ban”, il blocco degli ingressi (legali) negli Usa per chiunque provenisse da una lista di paesi di fede islamica. Ebbene, non solo il provvedimento non sembrava riscuotere grandi entusiasmi tra i cittadini, ma soprattutto ha creato una serie di situazioni problematiche che hanno portato svariati giudici a disapplicare la norma perche’ lesiva di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione americana. Trump ha dovuto ritirare il provvedimento, provando in seguito a riproporlo leggermente modificato, ma senza successo. Ancor piu’ grave per Trump e’ stata la sconfitta incassata con il tentativo di abrogare la riforma sanitaria di Obama (la cosiddetta legge “Obamacare”) sostituendola con una nuova legge. Questa volta l’ostacolo per Trump e’ venuto proprio dal suo partito: i repubblicani infatti hanno la maggioranza al Congresso, e se non sostengono compattamente le iniziative del Presidente queste non possono passare. La riforma di Trump non piaceva ne’ ai repubblicani moderati (perche’ toglieva la copertura sanitaria a troppi americani), ne’ ai falchi che volevano una legge ancor piu’ drastica. Risultato? Un insuccesso su un altro tema su cui Trump aveva investito molto in campagna elettorale. Tutto questo ha avuto un impatto evidente sui sondaggi, in cui non ha superato il 50% di consensi neppure all’insediamento. Ad oggi, dopo i fatidici 100 giorni, il suo indice di gradimento e’ fermo poco sopra il 40% (41,4% secondo il sito FiveThirtyEight) e in calo rispetto al 45% registrato durante il primo mese. Dopo 100 giorni Obama aveva un indice di gradimento del 61% e Bush jr del 58%. Persino l’impopolare Gerald Ford era sceso appena sotto il 50%. Molti hanno visto nella recente svolta “internazionalista” di Trump un tentativo di reagire a questo avvio poco brillante con l’interventismo. E’ accaduto in Siria (che gli e’ costata il gelo con la Russia di Putin), in Afghanistan e con la Corea del nord. E cosi’ il presidente che voleva riportare i repubblicani alla loro originaria dottrina isolazionista rischia di doversi occupare molto piu’ dei dossier internazionali che di quelli domestici.