Ha cambiato il proprio sconosciuto nome all’anagrafe nel più celebre “Mark Zuckerberg” ed ha aperto su Facebook una pagina denominata “The Like Store”, un servizio di marketing che prometteva, dietro compensi, di portare molti “mi piace” sfruttando la nuova omonimia. È questa la furba trovata di Rotem Guez, cittadino israeliano poi espulso dal famoso social network.
A quel punto, Guez non si è perso d’animo ed ha denunciato Facebook per poi aprire il sito “MarkZuckerbergOfficial.com” nel quale ha iniziato a raccontare l’accaduto a suo dire illecito.
I guai per “faccialibro” non sono ancora finiti, perché sotto accusa giudiziaria sono finite le funzioni Like “Mi piace”, accusate di essere troppo invasive per la privacy. Un giudice californiano ha negato al social network l’archiviazione di una causa per violazione privacy intentata contro il social network, decidendo che si possa procedere.
Il giudice avrebbe applicato una legge californiana che concede agli utenti il diritto di monitorare come i propri nomi e le proprie immagini siano sfruttati per approvare e sostenere campagne pubblicitarie relative a prodotti. I querelanti, quasi tutti vip, chiedevano la divisione degli introiti pubblicitari per il loro sostegno, anche involontario, alle campagne pubblicitarie alle quali il loro nome è associato. Secondo alcuni studi, infatti, mediante la funzione “mi piace”, una pubblicità sarebbe ricordata molto meglio e aumenterebbe valore. Da qui la richiesta delle “very important person” che “battono cassa”.