I bambini esposti a violenza tra le mura domestiche soffrono, dal punto di vista cerebrale, come i soldati in guerra: sviluppano la capacità di riconoscere più velocemente un'imminente minaccia da cui doversi difendere e sono più in grado di attivare dei meccanismi di difesa. A scoprirlo un gruppo di studiosi dello University College of London (Regno Unito) guidati da Eamon McCrory della Division of Psychology and Language Sciences. Questi ricercatori, in collaborazione con i colleghi dell'Anna Freud Centre (Londra, Regno Unito), hanno spiegato che queste capacità di “adattamento”, sul lungo periodo, possono tuttavia predisporre a una maggiore vulnerabilità ad ansia, depressione e problemi di salute mentale di diverso tipo. Lo studio è stato pubblicato su Current Biology.
Gli studiosi hanno esaminato le risonanze magnetiche condotte su 20 bambini londinesi di 12 anni di età media allontanati dalle rispettive famiglie per problemi di violenza domestica, e le hanno paragonate a quelle effettuate su un gruppo di controllo di 23 bambini non sottoposti a violenze di alcun tipo. Durante le risonanze magnetiche ai bambini venivano mostrate delle immagini di volti maschili e femminili ritratti con espressioni tristi, calme o arrabbiate: i ricercatori hanno così potuto documentare che davanti ai volti arrabbiati i bambini esposti alle violenza in casa mostravano una maggiore attivazione in due regioni cerebrali associate al rilevamento delle minacce, l'insula anteriore e l'amigdala.
Studi precedenti, spiegano i ricercatori, avevano rilevato risposte simili nel cervello di soldati in guerra: “Solo ora stiamo iniziando a capire come gli abusi sui minori influenzino il funzionamento dei sistemi emozionali del cervello. Questa ricerca è importante perché offre i primi indizi su come le regioni del cervello dei bambini possano adattarsi agli abusi tra le mura domestiche – spiega McCrory -. Una migliore reattività a un segnale di minaccia come la rabbia puà rappresentare una risposta adattativa per questi bambini nel breve periodo, aiutandoli a rimanere fuori pericolo. Può però anche costituire un fattore di rischio sul lungo periodo, aumentando la loro vulnerabilità a problemi di salute mentale come, in particolare, l'ansia”.