Parla Bossi junior: «Mai preso soldi». Ieri gli interrogatori

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Una sequenza fitta di interrogatori per i pubblici ministeri di Milano, Napoli e Reggio Calabria, che ieri hanno ascoltato nel corso della giornata Paolo Scala, uno degli indagati insieme all'ex tesoriere della Lega Francesco Belsito, oltre alla dirigente amministrativa del paritito Nadia Dagrada e alla segretaria di Umberto Bossi Daniela Cantamessa, entrambe non indagate. Bocche cucite all'uscita degli incontri e massima riservatezza. E al termine della giornata anche la riunione della segretria politica della Lega nella sede federale di via Bellerio si è conclusa con la convocazione per oggi del consiglio federale e il silenzio assoluto dei diversi partecipanti, allontanatisi immediatamente con le loro macchine.

A Roma intanto il presidente della Camera Gianfranco Fini ha concesso di aprire la cassetta di sicurezza che Belsito possiede alla Camera, come ex componente del governo: non essendo parlamentare, non è stata necessaria alcuna particolare autorizzazione. I pm di Milano e Napoli invece hanno perquisito la cassaforte dell'ex tesoriere del Carroccio, rinvenendo a loro giudizio «documenti utili». Tra le poche parole legate all'indagine spiccavano ieri quelle del Pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che ieri si è detto «fiducioso» che i risultati dell'inchiesta a carico del tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito, «possano arrivare rapidamente». Sul fronte politico sono ancora una volta le parole di Roberto Maroni a sottolineare la gravità della situazione all'interno del partito: «Chi ha tradito la fiducia dei militanti deve essere cacciato» – ha tuonato l'ex ministro. Maroni ha confidato ai giornalisti: «Quello che ho letto oggi sui giornali è sconcertante. Sono accuse molto gravi che portano un attacco senza precedenti alla Lega e alla sua gloriosa storia. Dobbiamo fare subito pulizia. La Lega è un grande movimento, patrimonio di tutti i militanti onesti. Troviamo subito in noi la forza per rinnovarci e per ripartire più forti di prima».

E se tra i militanti si fa fatica a raccogliere impressioni e pareri, è nelle parole degli altri leghisti "che contano" che si scorge la voglia di resistere e di non veder morire il mito della "diversità" padana, duramente intaccato dalle accuse di questi giorni. Il presidente del consiglio regionale lombardo, Davide Boni, anche lui nelle scorse settimane travolto dalle inchieste, ha difeso strenuamente il Senatùr: «Sempre» fiducia in Bossi, ha infatti risposto Boni ai cronisti. «Se non ci fosse lui non ci sarei io, non averi iniziato a fare politica» Il “Trota” Renzo Bossi, tirato in ballo più volte dai magistrati per l'utilizzo di soldi ora per la campagna elettorale, ora per i suoi studi, ha sottolineato di non aver preso soldi e che non ci sono «bilanci opachi» nella Lega. «C'è il consiglio federale che è a conoscenza di quelli che sono i bilanci della Lega e anche di tutti i gruppi regionali e parlamentari che la Lega ha». Bossi Junior ha spiegato che «i soldi non li ho presi in campagna e non li prendo adesso da consigliere come tutti i miei colleghi di partito do una percentuale al movimento e come tutti mi pago il leasing della macchina e vivo in affitto». Il rampollo ha poi sottolineato che «anche la mia famiglia di soldi dalla Lega non ne ha mai presi. La mia famiglia deve ancora finire di pagare la ristrutturazione della casa di Gemonio – ha concluso – questo perchè i lavori sono stati fatti quando mio papà era ancora in ospedale».

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