Il gioco incartato per le elezioni regionali nel Lazio del prossimo anno

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Le elezioni regionali del prossimo anno sono lontane, ma per quella scadenza già si avverte un discreto brusio di sottobosco politico. Probabilmente potrebbero venir accorpate con le politiche, sempre che Renzi non decida di far cadere prima Gentiloni, ma escluso un altro @geniloni staisereno al voto, si potrebbe andare alla prossima primavera. Ragione di più per posizionarsi sin d’ora perché la vera e propria campagna elettorale, secondo l’italico costume, prenderà corpo dal prossimo autunno.

Anche se nessuno è profeta si può partire da Nicola Zingaretti che poco prima delle primarie ha giurato che si ricandiderà sollevando boatos di approvazione dai suoi seguaci del Pd, ma anche da suoi avversari criptati  del suo partito. Se non fosse che lui le primarie le ha perse con Orlando e neanche tanto bene con quel risicato 20% circa di consensi in tutta la regione. Fatto che lascia praterie aperte a Matteo Orfini che non solo ha stravinto sostenendo Matteo Renzi, ma  è ancora alle prese con un congresso del Pd romano del quale è ancora incerta la data. Anche se Matteo presidente del Pd farà il bello e cattivo tempo finendo per decidere le liste dei parlamentari di Camera e Senato per le politiche, ma che probabilmente vorrà dire la sua alche per le candidature alle regionali.

Che, sia ben chiaro, Matteo Due non contesterebbe la candidatura di Nicola, semmai si tratta di vedere se quest’ultimo è ancora disposto a subire una sconfitta elettorale a casa sua. Meglio guardare ad altri lidi, ad esempio a capolista per il Senato sempre che Renzi non dica la sua. Guardando i numeri oggi gli orlandiani con i risultati delle politiche del 2014 potrebbero raggranellare una sessantina di parlamentari a livello nazionale concessi in ragione di qual manuale Cencelli che Matteo Uno adotta ferocemente dopo aver vinto. Poi c’è da raccogliere i voti e tocca vedere come lavorerà la machina elettorale di un Pd che a livello territoriale è controllato dai boiardi locali. Infine tocca vedere con quale legge si andrà a votare.

Passiamo a destra. Qui i Fratelloni d’Italia a livello romano e regionale contano, ben più che nel resto d’Italia. Che poi riescano ad aggregarsi con la Forza Italia controllata nel Lazio del neo presidente del Parlamento europeo Tajani, è tutto da vedere. Solo che c’è un problema affettivo. Giorgia Meloni infatti vanta un rapporto storico con l’on. Rampelli che l’ha cresciuta sotto l’ala protettrice dei suoi Gabbiani, quella formazione di destra che favorì il successo di Alemanno nel 2008. Il fatto è che anche Giorgia e tutta la diaspora della destra nel Lazio (che si è inventata sigle fantasiose come ‘noi con Salvini’) aveva puntato il periscopio sulla persona del sindaco di Amatrice Pirozzi. Il quale per ora fa il suo mestiere fra i terremotati e non si sbilancia anche perché la notizia che Renzi vorrebbe candidarlo alla Camera ha suscitato il panico a destra. Sempre poi che Pirozzi abbia davvero voglia di fare il gran passo verso piazza Montecitorio anche se Renzi lo giudica un vero leader di territorio.

Veniamo ora i grillini che già pregustano la vittoria dopo le ultime amministrative dello scorso anno. Qui le cose difficilmente potranno risolversi con qualche click su strane piattaforme perché tocca tirar fuori nomi forti e soprattutto credibili. Si mormora che escluso Barillari competitor di Zingaretti nel 2013, si vada puntando sull’attuale consigliera del  gruppo Cinquestelle alla Pisana, Valentina Corrado e sul giovane sindaco di Pomezia, Fabio Fucci il cui nome circola già da tempo. Il problema che li impensierisce è proprio quello della eventuale candidatura di Pirozzi  che potrebbe levare voti a tutti, destra sinistra e grilleria compresa che con la Raggi a Roma non se la passa  alla grande, anzi.

L’unica cosa certa è che difficilmente Renzi potrebbe chiedere al sindaco di Amatrice di candidarsi alla Regione perché si scatenerebbe l’ira di Dio nel Pd che già oggi potrebbe vedere la ri-candidatura di Zingaretti come l’ultima spiaggia. Nonostante Renzi  non straveda per lui  che, a suo avviso, gli ha fatto perdere il referendum nel Lazio con una valanga di NO.
Giuliano Longo

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