Roma, omicidio Scaglioni: i carabinieri risolvono un mistero durato 20 anni

Risolutive le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che ha rivelato i legami fra la vittima e il clan mafioso “Rinzivillo”

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Era stato archiviato come un caso irrisolto, quello che nei telefilm polizieschi viene chiamato “cold case”. Invece, l’omicidio di Antonello Scaglioni, assassinato a colpi d’arma da fuoco nel corso di un agguato commesso il 21 ottobre 1990, a ventitre anni di distanza, sembra a un punto di svolta. Le indagini, che erano state chiuse poco dopo il fatto, sono state riaperte nel 2011 grazie a nuove dichiarazioni. All’epoca dei fatti la vittima, 31enne gestore di un bar del circolo sportivo “Zeffiro Country Club”, in via Salaria , fu avvicinato nei pressi dell’ingresso del club da un commando di tre uomini dal chiaro accento meridionale, i quali gli esplosero contro otto colpi d’arma da fuoco, alla testa e al torace. I killer poi si dileguarono a bordo di una Ford Taurus rubata. Durante la fuga, nei pressi dello svincolo per Fidene, il gruppo ebbe un incidente stradale e la macchina fu abbandonata in una scarpata. Gli investigatori trovarono a bordo del mezzo una delle pistole utilizzate per l’omicidio e tracce di sangue dovute alle ferite riportate nel corso del sinistro, ma non riuscirono mai a individuare gli autori dell’esecuzione.  Un collaboratore di giustizia, già affiliato al clan gelese “Rinzivillo” due anni fa ha rivelato che l’eliminazione di Scaglioni fu deliberata ed eseguita da uomini del clan, in quanto la vittima era stata ritenuta responsabile di avere sottratto un carico di eroina che gli era stato affidato, svolgendo l’attività di “corriere” di droga. Su tali dichiarazioni il nucleo investigativo di via in Selci ha sviluppato un’indagine che ha consentito di acquisire rilevanti riscontriate vedono coinvolto Antonio Rinzillo e Marco Salinistro, mentre altri 2 soggetti componenti del gruppo di fuoco (Cinzia Parasporo e Rodolfo Maria Sabelli) sono indagati in stato di libertà. Sul conto di Salinitro è stata anche acquisita la prova scientifica grazie al Ris dei carabinieri di Roma che ha dimostrato la presenza del suo dna in una traccia ematica all’epoca repertata a bordo dell’autovettura utilizzata dal gruppo di fuoco.

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