Er bufalo della banda della Magliana torna in libertà?

Condannato per l'omicidio del Dandy (Renatino) potrebbe uscire di galera

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Dalla fiction alla realtà, Marcello Colafigli, il boss della banda della Magliana, alias Er bufalo della fiction più amata, potrebbe tornare in libertà.

IL PROCESSO – L’avvocato di “Marcellone” potrebbe farlo uscire all’istante dal carcere torinese dove è rinchiuso. Temuto dalla società ma anche dai suoi ex amici di strada Colafigli è stato condannato all’ergastolo per due omicidi: Sergio Carrozzi, ucciso con tre colpi di pistola alla schiena e alla nuca nell’Agosto del ‘78 ed Enrico De Pedis, il re di Testaccio caduto sui sampietrini del centro della Capitale il 2 Febbraio del 1990. La legge parla chiaro. Esiste continuazione quando due reati avvengono all’interno dello stesso contesto criminale. In quel caso le condanne non si sommano ma vengono comminati 30 anni come massimo della pena.
Diversamente, quando i reati non sono in esecuzione del medesimo disegno criminoso le pene si sommano. Ed è questo che fino all’ultimo grado del processo è stato riconosciuto a Colafigli. Per l’omicidio di Carrozzi, reo di aver denunciato un’estorsione, la pena è stata di 27 anni. Per la morte di “Renatino” sono stati 25 gli anni di condanna.

IL PROFILO – Orfano di madre e sopravvissuto a un parto gemellare in cui il fratello nacque morto, Marcello Colafigli compie gli studi superiori nell’istituto per geometri. La sua natura malavitosa, però, prenderà in lui il sopravvento e, assieme all’amico fraterno Franco Giuseppucci, si organizza spesso in diverse batterie dedite alle rapine. Gli altri malavitosi riconoscono in lui una forza fisica indescrivibile e una violenza nei modi e nelle reazioni che gli fanno ben presto guadagnare il soprannome di Marcellone.
“Colafigli aveva studiato da geometra ma fisicamente era una specie di orso. Un uomo dotato di una forza disumana. In tribunale da solo ha scosso la gabbia dove eravamo chiusi, con un pugno ha incrinato il vetro blindato. Ma se lo rimproveravo per qualcosa, si faceva rosso in viso come un bambino e la peggiore parolaccia che conosceva era perbacco”. Introdotto nel nucleo originario della Banda della Magliana fin dagli albori dallo stesso Giuseppucci, il 7 novembre del 1977, partecipa al sequestro del duca Grazioli, considerato l’atto di nascita della Banda stessa.Sarà poi uno dei killer, assieme a Nicolino Selis, Giovanni Piconi, Renzo Danesi e Giorgio Paradisi che il 25 luglio 1978, nel parcheggio dell’ippodromo romano di Tor di Valle, uccisero Franco Nicolini (detto Franchino Er criminale), padrone assoluto di tutte le scommesse clandestine dell’ippodromo e le cui attività illegali avevano suscitato l’interesse della neonata Banda che, da quel momento in poi, ebbe via libera per poter gestire una gigantesca fonte di guadagno.
Nella suddivisione del territorio per lo smercio della droga, Colafigli (assieme ad Abbatino) controllava la zona della Magliana e di San Paolo. Verso la fine degli anni ottanta, attraverso i suoi contatti, Marcellone fece arrivare via mare diversi carichi di eroina dalla Sicilia tramite il clan mafioso di Totò Riina.
Partecipò in prima linea anche alla vendetta nei confronti del clan Proietti accusati dell’omicidio del suo amico fraterno Franco Giuseppucci. Il 16 marzo 1981, nei pressi di via di Donna Olimpia, nel quartiere romano di Monteverde, assieme ad Antonio Mancini uccise Maurizio Proietti detto “il pescetto”. Nel furibondo scontro a fuoco che ne seguì, Colafigli e Mancini , lievemente feriti, iniziarono a sparare sulla polizia facendosi scudo con un bambino, ma vennero poi arrestati all’interno di un appartamento dello stabile nel quale si erano barricati.
In seguito ai fatti di via di Donna Olimpia, per Colafigli si aprirono le porte del carcere. Quando però il suo gruppo (capeggiato da Abbatino) iniziò a pensare che i «testaccini» non rispettassero l’obbligo di aiutare i compagni in cella, Colafigli e Toscano iniziarono a maturare propositi di vendetta contro De Pedi
«Colafigli e Toscano avevano deciso di far fuori ‘Renatino’. Io, siccome De Pedis, attraverso Fabiola Moretti, provvedeva alle mie esigenze e a quelle della stessa Moretti, mi ero intromesso tra gli uni e l’altro, per evitare che a De Pedis potesse accadere qualcosa».[4] Toscano si mise alla ricerca di De Pedis deciso ad ucciderlo ma Renatino informato dei loro propositi omicidiari e giocando d’anticipo sul tempo escogitò a sua volta una trappola per ucciderlo, prima di essere ucciso lui.
Condannato all’ergastolo per tre omicidi, gli viene però riconosciuta una infermità mentale con diagnosi che andavano dalla “psicosi schizofrenica paranoide”, alla “personalità epilettoide”, alla “sindrome borderline”. Nel 2012 è tornato a Roma ed è attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia.

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