Dal pulpito del suo blog il sindaco Alemanno prova a convincere la cittadinanza della bontà delle sue intenzioni sulla cessione delle quote di Acea, il gioiello delle municipalizzate romane. «Di fronte alla spinta del governo a privatizzare – spiega il sindaco – a smantellare il capitalismo municipale, a non avere troppe società di proprietà dei Comuni, abbiamo previsto la privatizzazione del 20% di Acea». E prosegue: «Faremo in modo che la vendita sarà centrata nei confronti di investitori istituzionali».
Tutto vero, come spiega lo stesso primo cittadino: «Facciamo questa privatizzazione sulla base di una legge dello Stato – aggiunge – votata dal Pdl e dal Pd. Eppure nonostante il Pd abbia votato questa legge a livello di Parlamento, qui al Comune insiste nel fare un ostruzionismo ». E chiamato in causa è stato più di un rappresentante del Pd romano a rispondere all'attuale inquilino del Campidoglio, tra i quali il consigliere Massimiliano Valeriani: «Su Acea il sindaco rischia di dire una carrellata di scempiaggini che rimarranno nella futura memoria »«Vendere – prosegue Valeriani – significa regalare, visto che il titolo oggi vale il 32% in meno rispetto a solo un anno fa, e rinunciare a utili che in una prospettiva di rilancio dell'azienda supererebbero di molto i possibili guadagni una tantum ricavabili dalla vendita delle azioni. In un decennio Acea ha dato al Comune 450 milioni di euro di utili che la città ha rivisto sotto forma di servizi e manutenzione. Inoltre il sindaco giustifica tale decisione di vendere il 20% delle azioni Acea con l'obbligo della legge. Peccato che la norma a cui si riferisce il sindaco è l'art. 4 del decreto legge 138/2011 che si limita a prevedere che, se il Comune non scende anche progressivamente fino al 30% entro il 2015, decadono gli affidamenti diretti, che nel caso di Acea sono solo il contratto di illuminazione pubblica, cioè un contratto di poco più di 50 milioni di euro a fronte di un fatturato complessivo dell'azienda di miliardi di euro. Inoltre, nessuno ha spiegato ai nostri pionieri che tale vincolo della norma in questione non si applica al servizio idrico integrato per effetto dei referendum. Quindi bisognerebbe scorporare il ramo d'azienda idrico dal resto. Appare chiaro, conclude Valeriani, che tale scelta non è obbligata, ma solo una trasparente volontà del sindaco e della maggioranza di regalare Acea a qualcuno».
Anche Simonetta Cervellini di Federconsumatori Lazio ha definito la vendita «una sfida a tutta la città» e ha ricordato che «per quanto riguarda l'Acea, i cittadini si sono già pronunciati, in modo inequivocabile, a difesa della gestione pubblica. Si fermi questo scempio». Intanto ieri il vice-presidente della commissione lavori pubblici del Comune di Roma Dario Nanni ha denunciato: «Nonostante da tempo sia avvenuta l'installazione dei contatori elettronici nelle singole utenze, da parecchi mesi continuano a pervenire bollette con consumi presunti. Inoltre i consumi spesso sono arrotondati in eccesso anche con somme in qualche caso considerevoli. Chiedo pertanto di conoscere come mai l'azienda non riesce ancora a quantificare i consumi dei cittadini romani 'da remoto». «Ho appreso peraltro che prima dell'esternalizzazione del servizio la gestione interna con il proprio software di gestione era perfettamente in grado di leggere i consumi da remoto. Ho pertanto presentato una interrogazione urgente alla giunta e all'assessore al bilancio».