Alemanno s'è messo in testa di fare la guerra per immaginarsi forse un poco come Napoleone e allontanare dalla mente l'immagine che gli s'è appiccicata addosso di un politicicchio parolaio rotolato fin su al Campidoglio e scopertosi poi inadeguato a governare Roma; capace soltanto, una settimana sì e l'altra pure, a ficcarsi dentro a scandali e a ululare all'emergenza (la neve, i rifiuti, il traffico, la pioggia, i cortei, i trasporti pubblici, la sicurezza). E allora s'è scelto il nemico – che poi sarebbe questo giornale che da nove anni a Roma e uno a Milano racconta notizie e storie del territorio – e ha indossato l'elmetto. Ha infilato uno dietro l'altro sette articoli pubblicati su Cinque Giorni e dal contenuto difforme fra loro e ci ha querelato, lamentando, citiamo dal testo della denuncia vergata dal sindaco, una «grave offesa alla mia reputazione soprattutto sotto il profilo della correttezza e trasparenza politica», e sostenendo niente di meno che «Cinque Giorni non perde occasione» per diffarmarlo «con tutte le giustificazioni possibili». Manco fosse un’ossessione. Nella querela sporta nei confronti della direzione del quotidiano il sindaco s’acconcia nel ruolo della vittima e costruisce la tesi secondo cui noi, che saremmo i cattivi della favola, avremmo come scopo nella vita il tiro al piccione nei suoi confronti. Per farlo ficca dentro allo stesso calderone l'antisemitismo, le relazioni con la ‘ndrangheta di certi figuri che lui ha frequentato, i suoi rapporti con il Vaticano, l'omofobia e addirittura «la recrudescenza dei reati a Roma». Una roba da ridere se non fosse stata partorita dalla mente del sindaco della capitale italiana. Al quale, evidentemente, non passa neppure per l'anticamera del cervello che un giornale fra le sue ragion d’essere ha il diritto-dovere di chiedere conto a politici e governanti di promesse non mantenute, incontri pericolosi, relazioni di potere, decisioni prese dentro e fuori il palazzo. Qualcuno glielo spiegasse, al Generale.
Christian Poccia