Attribuire alla amichevole passeggiata (si è rinunciato alla comune pedalata) di Ignazio Marino e Matteo Renzi per i Fori Imperiali "liberati" un significato solamente propagandistico ad uso dei media, sarebbe a dir poco ingenuo. Perché comunque si voglia rigirare la frittata con questo gesto simbolico il sindaco di Roma entra a gamba tesa nella prospettiva congressuale del Pd con una sua precisa scelta di campo. Il campo del possibile futuro segretario. Va dato atto a Marino di non voler semplicemente saltare sul carro di un eventual vincitore perché la sua vicinanza a Renzi l'ha manifestata senza esitazioni già nel corso della sua campagna elettorale sino alla "storica" manifestazione comune alla Garbatella quando ancora il guru del veltronismo Goffredo Bettini non aveva ancora scelto di stare con il giovane fiorentino.
Con Roma giunge anche al suo culmine la campagna acquisti di Matteo nei confronti dei sindaci italiani, dal veneto alla Sicilia, che gli consentirebbe in qualche modo di battere gli apparati (tanto mitizzati) del Pd, costruendo una solida rete di consensi congressuali e non solo. Maria Teresa Meli, con un suo recente articolo in prima di cronaca sul Corriere della Sera, sottolineava la diffidenza di Marino nei confronti dei condizionamenti del partito che l'aveva sostenuto (per sua stessa ammissione, talpa timidamente) e fatto eleggere. Una sorta di fastidio e di presa di distanze del sindaco da questo Pd romano che la Meli acutamente dipingeva come lacerato dal perenne conflitto per bande e lobbies che lo contraddistingue ormai da anni. E alla fine lo invitava, nella sostanza, a sciogliere definitivamente tale vincolo magari, ma lo diciamo noi, aprendosi ai poteri forti della Capitale.
Operazione in parte già avvita con le scarse concessioni di potere attribuite all'apparato nelle sue diverse componenti, marcando l'autonomia di Marino che sicuramente si caratterizza per la propria originalità intellettuale ed esperienza politica. Se non fosse che questi apparati a Roma non sono rappresentati in senso stretto nella Giunta ma si ramificano in numerosi centri di potere capitolino dalle municipalizzate alla macchina amministrativa vera e propria in senso stretto dove il sindacato conta e pure parecchio. Apparati in qualche modo co-gestiti con-sociativamente anche ai tempi di Alemanno che non sono poi così lontani. Senza contare che Renzi, proprio nella Capitale, non ha brillato nel confronto con Bersani.
Certo, molta acqua è passata sotto i ponti e la vittoria del Pd alle amministrative si è andata stemperando nel governo delle larghe intese e nelle vicende giudiziarie di Berlusconi che rendono parecchio inquieta la base e parte dell'elettorato di quel partito. Situazione difficile che il sindaco impegnato a governare per i prossimi cinque anni, ha fiutato con notevole sensibilità politica. Insomma se Marino una certezza di lungo termine ce l'ha, non si può dire altrettanto del partito che lo ha fatto eleggere che verrà scosso da probabili convulsioni soprattutto se il sindaco di Firenze dovesse imporsi.
Per queste ragioni dipingere Marino solo in tutta la sua radicale novità potrebbe essere riduttivo perché sottovaluta le sue capacità di manovra politica che ad oggi parrebbe svincolato da rigidi condizionamenti politici. Insomma, pedalando pedalando, va emergendo un modello di governo cittadino che vorrebbe andare oltre le esperienze di Rutelli e soprattutto Veltroni, con una particolare cura dell'immagine del nuovo conduttore. Salvo verificare nel tempo, e Marino tempo ne ha, se all'immagine corrisponderanno segnali veri di una svolta radicale (questa volta sì) nel modo di governare ed affrontare le piaghe di questa Babilonia metropolitana.
Giuliano Longo
(foto Dire)