Erano circa le 17 di ieri quando il sindaco Ignazio Marino concludeva la conferenza stampa illustrando il granitico sostegno (del quale qualche sprovveduto ancora dubita) della sua maggioranza all’impostazione del bilancio. Alla stessa ora Berlusconi decapitava il governo aprendo una crisi dagli sbocchi imprevedibili. Ma imprevedibile anche per le sorti del bilancio capitolino con i suoi 867 milioni di debiti che si aggiungono ai 300 che ogni anno il Comune deve restituire allo Stato per quelli cumulati nei decenni precedenti. Imprevedibile perché tutto il discorso del sindaco, tutte le sue indicazioni strategiche per riuscire ad approvare un bilancio credibile entro novembre, punta sull’intervento governativo per uscire dal baratro. Quale governo, verrebbe da chiedersi e in che tempi. Se non si scioglie questo nodo i tagli e i sacrifici annunciati dal sindaco saranno come pannicelli caldi sul cancro finanziario di questa città che Alemanno ha tentato di inquattare nell’ultimo anno del suo mandato, con una gestione in dodicesimi del bilancio. Una sorta di ‘andando vedendo’ e tiramo acccampà. Ora succede che il lavoro di ricognizione dei conti capitolini al quale si è dedicata l’assessore al bilancio Daniela Morgante, finisca per somigliare sempre più ad uno scavo archeologico, lo sussurrava ieri l’assessore Improta ai giornalisti mentre la Morgante si beccava con la giornalista di Repubblica Giovanna Vitale. Ogni giorno una magagna, un nuovo buco inquattato sapientemente prima delle elezioni, ma così fan tutti. La questione politica vera sta nel fatto che Ignazio l’ha detto chiaramente: non voglio essere il sindaco delle tasse. E allora niente aumento dell’irpef e di altre imposizioni che potrebbero dare un po’ di sollievo ad un bilancio compromesso. Le alternative che il sindaco propone nell’immediato hanno un che di aleatorio: richiesta al governo di elevare l’importo della prima rata Imu dovuta ai comuni almeno per compensare i 140 milioni che la regione deve al Campidoglio per i trasporti; vendita del patrimonio immobiliare non utilizzato dal Comune che il vice sindaco Luigi Nieri calcola in 200 milioni di introiti (ma con quali tempi?). Poi ci sono i tagli: fondi del gabinetto del sindaco da 7,3 milioni a 500mila, le solite auto blu con relativi garage affittati, taglio dei 5milioni di fitti a privati per uffici vari, revisione dei contratti di sevizio, eliminazione delle società capitoline e dei cda inutili, ecc. ecc. ecc. Tutto deja vu, ma gli 867 milioni (e resto mancia) restano lì come una montagna che rischia di franare sul bilancio capitolino in odore di commissariamento. Apparentemente la maggioranza è tutta schierata dietro il suo sindaco che non vuole aumentare le tasse, che tenta di rivoluzionare i vertici consociativi delle municipalizzate e tratta Acea come roba sua, ma l’assessore Morgante oltre che magistrato amministrativo è giovane, preparata e combattiva. Non a caso voci interessate parlano del suo dimissionamento un giorno si e l’altro pure. Come al solito c’è chi vuole buttarla in politica. Fumo, neanche fuoco d sbarramento. Ed è proprio a questo tipo di giochini che la Morgante non ci sta. E allora? Si chieda aiuto al governo (quale?) si mobilitino tutti gli onorevoli de Roma (neri, bianchi e rossi sempre che questo Parlamento non venga sciolto anzitempo)), si tagli il superfluo (lo impone la spending review). Eppure l’aumento di un mezzo punto di Irpef qualcosina aiuterebbe nell’immediato. Ma Ignazio è uomo (anzi chirurgo) d’onore e Lui non passerà alla storia come il sindaco delle tasse.
Giuliano Longo