Non è inopportuno, come fa il Corriere questa mattina, ricordare i lamenti di Gianni Alemanno sul baratro del debito capitolino solo un mese dopo la sua netta vittoria tra sventolii di tricolore e saluti romani. «Finora – disse paro paro – si è fatto il gioco delle tre carte per nascondere una voragine: la scelta fatta dalle amministrazioni precedenti è stata quella non di affrontare di petto la realtà, ma di tirare a campare rinviando i problemi e nascondendo la polvere sotto il tappeto». Eh si, perché già nel giugno del 2008 servivano almeno un miliardo e cento milioni di euro «per ritrovare un equilibrio duraturo della parte corrente di bilancio». Frasi lanciate come pietre contro Veltroni mentre lui, Gianni, sedeva accanto all’allora ministro Tremonti salito sino in Campidoglio per perorare il decreto “salva Roma” che nominava Alemanno commissario straordinario per la “montagna” debiti capitolini pregressi.Allora la Ragioneria dello Stato indicava un deficit strutturale di quasi un miliardo e cento milioni, cui bisognava aggiungere gli 8 miliardi e 150 milioni accumulati nel corso degli anni. Eppure Alemanno godeva dei favori di un governo amico, anzi amicone, e la crisi muoveva solo allora i suoi primi devastanti passi mentre era di là da venire il Governo del professor Monti con i tagli sulla spesa pubblica della spending review. Antefatti che oggi mettono con le spalle al muro Ignazio Marino, il sindaco che non vuole tassare, come da lui affermato senza indugio. Lui confida nell’intervento del Governo. “Quale nazione abbandonerebbe mai la sua capitale a se stessa?”- Si rassicura Ignazio auto -consolatorio. Il discorso filerebbe se il sindaco chirurgo potesse contare sulla stabilità di governo che oggi risulta alquanto evanescente pure se Letta o altri dovessero campare solo per fare la legge elettorale e la Finanziari dello Stato. Figuriamoci se si entra in campagna elettorale. Anche ignorando le cazzate della Lega Nord che con il suo 5% scarso di consensi sbraita per strangolare la Capitale, ammesso che anche altri grandi comuni non si mettano a battere cassa, resta il fatto che il momento politico non favorisce le buone intenzioni del nostro sindaco.I beninformati sussurrano che la situazione dei conti era chiara già tre mesi fa, quando Marino avrebbe potuto varcare anche in bici il portone di palazzo Chigi anziché darsi tanta pena per la via dei Fori. Del senno di poi sono piene le proverbiali fosse. Ma c’è anche un senno di oggi che vede la via d’uscita nell’aumento di quel punticino Irpef, fatto salvo ovviamente il piano di tagli e la vendita di immobili annunciato sabato. Di questo senno pratico e concludente sarebbe depositaria l’assessore al Bilancio Daniela Morgante. Di qui le voci di divergenze e contrasti fra il sindaco e la sua assessora. “Buttiamola in politica” vorrebbe qualcuno della maggioranza che finge di ignorare i numeri perché i voti (passati o futuri che siano) conterebbero più delle poste in bilancio. Solo che “buttarla in politica” significa anche caricare le colpe solo su Alemanno oggi disponibile a sostenere Marino nel suo pressing sul Governo.Ma il giochino dello scarica barile mostra la corda quando restano al loro posto il ragioniere generale Salvi ed il segretario Iudicello che dei conti pregressi hanno condiviso la responsabilità e ancor oggi risultano depositari “tecnici” di questa sfigata realtà. Così, se si dovesse ricorrere alla leva fiscale, a quel punticino di Irpef, non resta che un forte e convinto appello a tutti cittadini (a partire dai dirigenti superpagati di comune e municipalizzate) perché si stringano attorno al loro sindaco, al di là di partiti e schieramenti, per superare l’emergenza e credere a un futuro migliore. Questo significherebbe “buttarla in politica” nel senso più alto del termine, come nella storia hanno fatto i grandi sindaci del mondo nei momenti più duri per le loro città. Parigi valeva una messa, Roma val pure un punto di Irpef in più.
Ignazio Marino nella gabbia del bilancio in rosso
Ma il sindaco confida nell'intervento del Governo: «Quale nazione abbandonerebbe mai la sua capitale a se stessa?»