In questi giorni le opposizioni ed in particolare Alfio Marchini con i suoi 100.000 emendamenti sul bilancio, vogliono dimostrare che di fronte alla paralisi e alla inefficienza di questa amministrazione tanto vale cacciare Ignazio Marino e commissariale Roma. In questo caso il giochino sarebbe quello del “filibustering” (ostruzionismo) per non far passare nei tempi previsti dalla legge il bilancio capitolino, che riguarda ancora la gestione di Alemanno e poi mandare tutti a casa. Legittimo, il regolamento lo consente e analoga tecnica ha usato la sinistra contro la precedente amministrazione, si badi bene, non sul bilancio, ma per la delibera Acea.
Che Marchini finisca per allearsi oggettivamente con la destra può deludere gli antifascisti radicali, ma fa parte del gioco politico. Che poi l’imprenditore aspiri a ricalcare le scene capitoline da vincitore, è comprensibile. Ma che Marchini e la destra offrano come panacea di tutti i cancri urbani il commissariamento della Capitale, lascia molti dubbi. Nell’ordinamento italiano è denominato commissario prefettizio l’organo monocratico di amministrazione straordinaria del comune previsto dall’art. 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Il commissario, di solito un funzionario della carriera prefettizia, è nominato a seguito dello scioglimento del consiglio comunale dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’interno. Il commissario ha il compito di amministrare l’ente fino all’elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco da tenersi nel primo turno elettorale utile previsto dalla legge (di solito in primavera).
Durante il periodo di scioglimento, il commissario esercita tutti i poteri degli organi del comune: sindaco, giunta e consiglio. In virtù di tali poteri può compiere qualunque atto, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione, ma non dovendo rispondere agli elettori, difficilmente assume decisioni di portata strategica. Nessuna decisione strategica dunque, ma semplicemente una parentesi per tornare al voto anticipato. E noi romani, noi popolo cosa ci guadagniamo? Davvero un pò “stitichina” come pensata politica! Che Marino non susciti entusiasmi nemmeno a molti dei suoi non è un mistero. Che il suo continuo agitarsi contro i mitici, indefinibili e pretestuosi “poteri forti” non giovi ad una città allo stremo è un dato di fatto. Ma raccontarci la storiella che cacciando Marino tutto si risolve mettendoci un’altro più bravo di lui, non regge.
Per il semplice fatto che i guai di questa città hanno radici, su su per li rami, in tutte le precedenti amministrazioni di destra, centro o sinistra che fossero. Situazione che peraltro autorizza il ciclista neo giacobino a spararle grosse come l’ultima: «Se fallisce Roma va in default tutt’Italia». Qui non andrà in default nessuno perché toccherà proprio ad Ignazio ritoccare Irpef, le tariffe e forse vendere il 21% di quote Acea (energia) se non vorrà essere seppellito nel buco di un miliardo per il bilancio del 2014. Anche perché un conto è proclamare di non voler mettere le mani in tasca dei romani, altro è metterle nelle tasche di tutti gli italiani scaricando il debito sulle spalle delle future generazioni.
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