Questa mattina Il Messaggero riportava, con malcelata esultanza, la notizia che il Ministro Saccomanni aveva bloccato l’emendamento al decreto sugli enti locali che avrebbe bloccato i pagamenti alle imprese della Metro C. Aggiungendo di aver potuto visionare, in via “riservata” il documento con il quale il dicastero aveva «smontato l’impianto della proposta» della senatrice Zanoni. Altri quotidiani, più maliziosamente, adombravano una vittoria dell’assessore ai trasporti Guido Improta ormai ai ferri corti con quella al bilancio Daniela Morgante.
Chi abbia vinto è di scarso interesse, visto che si tratta sempre di soldi dei contribuenti, ma ci lasciava perplessi il fatto che qualcuno (sotto sotto la Morgante) volesse bloccare le erogazioni per gli onesti imprenditori intenti a realizzare una grande opera di pubblica utilità. Così abbiamo dato un’occhiatina al testo del fatidico emendamento scoprendo che i finanziamenti «per i quali non sia ancora intervenuto il pagamento …. possono essere sottoposti dal responsabile del procedimento, all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.» L’Autorità «verifica la fondatezza delle riserve e determina gli importi eventualmente al riguardo» mentre le decisioni dell’Autorità «sono vincolanti per le parti fermi restando gli ordinari rimedi giurisdizionali».
Embè, dove sta il blocco degli importi dovuti? Semmai l’emendamento parla di controlli se a metà novembre lo stesso procuratore generale della corte dei Conti De Dominicis, rivelava di tre inchieste su Metro C. Dove il filone principale riguarda l’individuazione delle varianti che hanno portato ritardi nei lavori. Mentre altri due fascicoli fanno seguito alla relazione della Corte dei Conti approvata nel giugno 2012, che rilevava un esponenziale aumento dei costi rispetto al progetto originario. Stando così le cose sorge il dubbio se i controlli dell’appaltante Metro Roma, impelagata contenziosi e costosissimi arbitrati, siano adeguati e in caso contrario se non sia necessario l’intervento di una autorità superiore. Tornando allo scontro fra assessori è evidente che ad una cultrice del rigore e della trasparenza qual è Daniela Morgante, l’emendamento non sarebbe dispiaciuto, sia pur fra lo sgomento delle grandi imprese che pare trovino nell’assessore Improta un valido sostegno.
Come al gioco dell’oca, tocca tornare alla casella iniziale dove si scopre che il vero dissenso fra i due sta proprio nei trasporti e sulla macilenta realtà di Atac (vedi articolo correlato). Qui Improta batte cassa chiedendo alla Regione per il futuro 300 milioni l’anno e altri 200 al Governo dopo averne incassati da Zingaretti già 100 per il 2013 ed in procinto di incassarne altri 140 per il prossimo anno. Un pozzo di san Patrizio del quale non si intravede il fondo, in barba al risanamento radicale di Atac che rischia davvero il fallimento se Pantalone si stanca di pagare.
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