Comune di Roma, Marino chiude il cerchio magico e snobba il Pd

Le beghe di partito sembrano non interessare al chirurgo che tira diritto per la sua strada

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Comune di Roma, Marino chiude il cerchio magico e snobba il Pd

Potrebbe non aver tutti i torti il sindaco Ignazio Marino quando accusa i partiti della sua coalizione, ed il particolare il Pd, di volere solo poltrone. Certo, sulle nomine l’aria è pesante. Il potente deputato lettiano Di Stefano punta i piedi per la presidenza dell’Ama. Il segretario regionale Gasbarra tramerebbe per scalzare l’attuale Ad di Atac Broggi per sostituirlo con Giammarco Innocenzi che ha già calcato le scene di quella società. Insomma giochi e giochini che dovrebbero chiudere il cerchio delle prossime Europee con Goffredo Bettini in pole position nella solidale cordata con Silvia Costa e Sassoli.

Come non dar ragione al sindaco che si tien ben lontano dalla politica politicante? Poco gli importa se Goffredo, inventore del marziano Ignazio, di fatto oggi comanda il Pd romano. Gli fanno il solletico le pressanti richieste dell’attempato segretario del Pd Lionello Cosentino per un improbabile rimpasto. Eppure Lionello (leggi Bettini) si è dato un sacco da fare per prendersi tutto il partito de Roma. Fuori i dalemian bersaniani, dentro i fedeli di Goffredo e Renziani comunque insoddisfatti. Le beghe di partito non interessano al chirurgo tutto preso a strigliare i suoi assessori che, sotto la sua poco competente guida, non hanno combinato gran che.

E allora che fa? Li mette sotto la tutela di Alessandra Cattoi, lei pure assessore alla scuola, ma che ha seguito Ignazio negli Usa, poi in Sicilia al centro trapianti. E ancora alla Fondazione Italiani Europee di D’Alema nel 2004, poi al Senato quando Marino si mise in corsa, spronato da Bettini, e nelle primarie del 2009 con Bersani e Franceschini. Sino alla vittoriosa campagna elettorale che Alessandra ha gestito con accorta e amorevole cura. Una scelta di assoluta fiducia che Alemanno fece con il ‘compianto’  Antonio Lucarelli, segretario e factotum dell’allora sindaco. Rafforzata la cerchia dei fedelissimi Marino snobba gli uomini del suo partito non ritenuti all’altezza della storica missione ignaziana.

Così a Cosentino manda a dire che prima si chiude e si approva il bilancio 2014 e poi si vedrà se rimpastare o meno qualcosa. Schiaffo che nemmeno Veltroni o Rutelli potevano permettersi. Ma lui, Marino, va per la sua strada e con la scusa della crisi e delle casse capitoline svuotate da Alemanno, si vanta di aver spostato 400 milioni di debiti aggiungendoli ai 12 miliardi già commissariati. Sempre più convinto che la salvezza della Capitale possa venire solo dal governo che dovrebbe pompare per il 2014 altre centinaia di milioni. Perchè Roma è Roma e gli altri sono un cazzo, parafrasando Alberto Sordi nel Marchese del Grillo.

Ammesso che la mossa gli riesca anche per parte dei 1200 milioni che mancheranno nel 2014, resta da capire come in una città dove nulla più funziona (dalla pulizia ai trasporti) si possa tirare avanti senza tagli, ristrutturazioni delle municipalizzate e senza una decisa lotta agli sprechi a partire dallo staff del sindaco. Per non parlare dell’aumento di qualche decimale di Irpef che Marino vedrebbe come un suo personale fallimento. Nel frattempo in casa Pd tutti buoni e zitti perché sennò il sindaco si incazza e magari minaccia le dimissioni. Un modo rapido e indolore per sancire il suicidio di quel che resta della sinistra romana.

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