Comune di Roma, Marino batte cassa a Letta e vuole altri 500 milioni

Il sindaco della capitale continua nelle richieste di fondi al governo, ma non mostra una chiara linea di cambiamento

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Roma è Roma e le capitali costano. In verità Roma comincia a costare un pò troppo con i suoi 13miliardi di debiti accumulati nei decenni che rappresentano quasi una manovra finanziaria del governo e che ci costano qualche punto di Irpef in più rispetto ad altre grandi città italiane. E’ pur vero che il debito dovrebbe essere restituito in tranche annuali, come stabilito dal primo decreto Salva Roma firmato Tremonti, ma al momento Roma non restituisce un bel niente. Anzi Ignazio Marino ha ottenuto dal Governo, nel 2013, di far scivolare altri 500 milioni sul debito commissariato che verrà pagato a babbo morto anche dei nostri nipoti.

Ora succede che domani, mercoledì, per chiudere il bilancio 2014, il sindaco chiederà al ministro Delrio ancora 500 milioni secchi dei quali 80 per le spese “vive” della Capitale, manifestazioni, palazzi del potere, presenza del Vaticano ecc. Altri 120 giusto per stare un pò larghi e 300 per i trasporti. Fondi questi ultimi che non dovrebbero più transitare dalla Regione, che al massimo potrebbe sborsarne 100, ma direttamente dal Governo alle casse capitoline. Il che rischia di non far quadrare i conti a Zingaretti.

Poco male se non apprendessimo dall’assessore Improta, che Atac per campare ha bisogno di 700 milioni (senza contare Ama). C’è di che mettersi le mani nei capelli. Solo che di questo pozzo senza fondo prendono coscienza i cosiddetti poteri forti dell’economia e della finanza tanto che Rizzo e Stella dedicavano domenica ben due pagine del Corriere della Sera sulle magagne storiche di questa città. Non a caso Linda Lanzillotta ripropone oggi ( ne scriveremo in corso di giornata) il decreto che prevede piani di ristrutturazione, tagli e licenziamenti nelle municipalizzate rispolverando la vendita del 21% delle quote Acea tanto per fare cassa (forse 250 milioni).

Apriti cielo! Il partito del “nunsetagliancazzo” che va dall’ex capogruppo on. Marroni a quasi tutta la sinistra capitolina di maggioranza, sino alla lobby dei parlamentari romani supportati dai soliti sindacati Funzione Pubblica dei garantiti, alza le barricate. Macelleria sociale, città allo sbando, default del Comune, queste le fosche prospettive che il grande partito dell’eterno e costoso consociativismo romano getta sul piatto, senza che, dopo 8 mesi dalle elezioni, nessuno presenti ancora uno straccio di piano industriale per le municipalizzate o l’adozione di criteri di merito ed efficienza per la elefantiaca macchina comunale.

E Marino cheffà? Marino cavalca quest’onda spolverando qualche generico slogan ‘de sinistra’, qualche futuribile ideuzza urbanistica ancora allo studio e immagina la “città museo” ben lontana dalla modernità delle reti, dell’innovazione, del decentramento e dell’imprenditoria avanzata che hanno cambiato il volto e la vita di altre metropoli. Lui che doveva essere il sindaco del cambiamento si adegua all’andazzo che fu di Alemanno e dell’ultimo Veltroni. Mentre i consociativi nostrani fanno finta di non capire che Linda Lanzillotta, peraltro già assessore al bilancio con Rutelli, non è un mostro neoliberista, ma esprime una posizione diffusa nel Paese e nel Parlamento, che in sostanza chiede « cominciate a fare sacrifici e poi bussate alla cassa di tutti i contribuenti». Certo, la colpa non è di Marino che tuttavia rischia di scivolare nella storia come un sindaco onesto, ma “senza qualità”, come l’uomo di Musil.

A commento dell’articolo riceviamo e pubblichiamo questo intervento dell’onorevole Vincenzo Piso:

«Articolo interessante e situazione chiara. Ora, se è evidente che Roma sconta tutta una serie di deficit e di gestioni poco oculate, pensare che tutti questi problemi si possano risolvere con due emendamenti e qualche taglio è irreale. Come non è giusto e corretto addossare al Sindaco di turno tutte le responsabilità. Detto questo, quello che non è più accettabile è che le amministrazioni locali, di concerto con le regioni, chiedano soldi senza presentare un piano credibile di rientro declinato competenza per competenza, azienda per azienda, facendo così capire quali sono gli obiettivi, dove si vuole andare a parare. Non si possono continuare ad erogare risorse senza avere un quadro chiaro sulle prospettive del livello locale. Questa partita avrà una inversione di tendenza virtuosa quando i diversi livelli di governo riusciranno a parlare fra loro in maniera chiara e completa, capendo che devono esistere degli obiettivi comuni da cui non si può prescindere pena il collasso di tutto il sistema. Cosa, peraltro, alla quale siamo vicini».

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