Comune di Roma, le mire di Ignazio Marino e quelle dei privati su Acea

Il ruolo dei soci privati condiziona il Campidoglio nonostante il possesso del 51% delle azioni

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Al momento il titolo Acea che in un anno ha raddoppiato il suo valore portandosi a 9,51 euro azione, perde in Borsa solo lo 0,25%, smentendo le previsioni catastrofiche di chi ne paventava il crollo dopo la lettera del sindaco che chiede il ridimensionamento del Cda da 9 a 5 membri e la conseguente sostituzione del presidente Cremonesi. Intento nobile quello della riduzione dei costi, ma che ha suscitato perplessità alla Consob la quale ha chiesto copia della lettera per vederci chiaro. Anche i francesi di Gaz de France (soci privati al 12%  con Caltagiorne a poco più del 16%) hanno rizzato le orecchie.

CAMBIARE I VERTICI SOCIETARI? – La novità è che Marino vuole cambiare i vertici societari come aveva annunciato nel corso della sua campagna elettorale, quando Alemanno, con una sorta di colpo di mano e probabilmente in accordo con Caltagirone, aveva provveduto alle attuali nomine che scadranno fra qualche anno. Questa volta però il sindaco è entrato con i piedi nel piatto chiedendo che le sue richieste vengano sottoposte all’assemblea dei soci che approverà il bilancio d’esercizio 2013. L’attuale vertice di Acea, sotto il profilo finanziario, ha operato bene raddoppiando in un anno il valore del titolo tanto che anche i francesi hanno aumentato la loro presenza azionaria nella società. Per di più l’anno scorso Acea ha anticipato 36 milioni al Comune staccando una cedola di oltre 36 milioni che avrebbe dovuto essere corrisposta in aprile. Ma a Marino interessa la funzione pubblica dell’azienda che gestisce un bene comune quali sono l’acqua e la rete di illuminazione. Funzioni che non raggiungono l’eccellenza (per non parlare delle bollette monstre che angustiano molti romani).

IL POTERE DEI PRIVATI – Eppure la vulgata de sinistra vuole siano solo i privati a comandare in Acea e concorda con Ignazio sull’esigenza di riequilibrare i rapporti di forza. Solo che la questione è molto delicata e la quotazione in borsa non permette agevolmente di mettere le mani sui meccanismi societari senza l’assenso dei soci privati. Qualcuno avrebbe allora suggerito al sindaco di posare l’elmetto e di trovare un accordo con Caltagirone e i francesi. Il compromesso è nella storia recente della multiulity. Lo stesso Alemanno a maggio del 2009 decise che uno dei consiglieri doveva essere del Pd. Il candidato lo indicò D’Alema nella persona di Andrea Peruzy, già membro del Cda di Crédit Agricole, direttore della sua fondazione “ItalianiEuropei”. Messo lì a rappresentare i francesi, Peruzy è ancora al suo posto. Poi le cose filarono lisce per Caltagirone che allora aveva solo il 7% delle quote, ma riuscì a fra passare il presidente di Acea Giancarlo Cremonesi (già numero uno dei costruttori romani) e l’amministratore delegato Marco Staderini (in quota Pier Ferdinando Casini). Oggi il quadro politico è mutato, ma la posizione dei privati in Acea si è rafforzata e quel 51% del Comune non conferisce, anche giuridicamente, i poteri cui il sindaco aspirerebbe. Anche se lui ha capito che un centro finanziario e di potere delle dimensioni di Acea non può sfuggire al suo controllo.

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