Nemmeno l’imminenza delle elezioni europee è bastata ad inquattare la polemica, ormai aperta e rovente, fra il Comune di Roma e la Regione Lazio. (vedi link)
IL NODO – Qualche timido pompiere ha tentato oggi di buttare acqua sul fuoco con generici appelli al “velemose bene” fra compagni, ma la sostanza del problema rimane tutta in quei 300 milioni che Marino esige da Zingaretti per far campare Atac. Anzi, i soliti bene informati ci dicono che Ignazio ne vorrebbe addirittura 300 l’anno quando Nicola gliene ha già dati 240, di cui 140 per l’anno in corso e 100 per il 2013. L’oggetto del contendere è in sostanza questo e non sorprende se la linea del sindaco sia quella di chiedere, chiedere continuamente e ancora chiedere: alla Regione, al Governo, agli emiri…. per non affogare, ma senza una seria ipotesi di risanamento e ristrutturazione della macchina amministrativa e dei carrozzoni municipalizzati come avrebbe voluto l’ex assessore al bilancio Daniela Morgante. Più soldi per i trasporti, più soldi per gli extracosti della Capitale, per la differenziata (già concessi) ecc. ecc. Una petulanza che prima o poi potrebbe irritare anche il Governo che in queste ore sta chiudendo al Senato il salva Roma ter e ai primi di luglio si attende un piano triennale per il rientro dal mostruoso debito accumulato da Roma negli anni. Eppure Improta da mesi martella la Regione che secondo lui dovrebbe conferire a Roma i due terzi dei 565 milioni che il Governo destina al trasporto laziale. Salvo far sapere che per il 2014 il Comune trasferirà 15 milioni in meno ad Atac; briciole per un’azienda che solo per il 2013 si è permessa di perdere 180 milioni.
LA SOPRAVVIVENZA – Intanto Marino e il suo assessore agitano sotto il naso di una sinistra riottosa e dei sindacati sul piede di guerra, il nodoso bastone del fallimento oppure (Dio ce ne guardi) di privatizzazioni e liberalizzazioni per una azienda pubblica che giustifica la sua sopravvivenza grazie alla montagna di debiti accumulati. E chi se la accatta, è il ragionamento più volte espresso da Improta. Così il conflitto esplode pubblicamente fra due istituzioni dello stesso colore politico senza che vi sia stata mediazione preventiva. Pratica paziente e laboriosa assente nel Dna di un sindaco abituato a comandare in sala operatoria più che a governare sistemi complessi qual’è il comune di Roma. D’altra parte Zingaretti, oberato dalla penuria dei fondi e alle prese con la restituzione del debito sanitario ereditato, deve fare i conti con una opposizione convinta che senza un serio piano industriale di Atac, la Regione non debba cacciare più nemmeno un euro. Quel piano industriale che l’assessore aveva già promesso l’ottobre scorso latita, mentre oggi si cavalca il singolare paradosso per cui senza soldi non si può fare il piano. La scadenza elettorale sopirà (almeno per ora) gli ardori polemici, ma la ferita resta aperta e quando si tratta di soldi stenta davvero a rimarginarsi, anche nelle migliori famiglie.
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