Che il Partito Democratico romano si vada balcanizzando in uno spietato scontro fra correnti che si aggregano, si scompongono, si alleano e si combattono, non è una novità e tanto meno è motivo di interesse popolare se non per i cultori della materia che, sui giornali, ci sguazzano. Semmai c’è da chiedersi come mai la strepitosa vittoria di Renzi che ha trascinato i democratici romani al 43% dell’elettorato finisca per creare tale caotico effetto mentre a livello nazionale tutti ormai salgono sul carro del vincitore ammettendone l’indiscusso primato.
LA MORALIZZAZIONE ANTI-CORRENTIZIA – Tale è il livello dello scontro che qualche esponente di quel partito come l’ex assessore all’urbanistica di Veltroni, Roberto Morassut, si ritraeva schifato da questa bagarre e qualcun’altro invocava addirittura l’intervento del Matteo nazionale per sbaraccare tutto e tutti. Vestali della moralizzazione anti-correntizia che pure sino a ieri di quel partito hanno menato il torrone dalla parte del manico.
IL SINDACO MARZIANO – La questione, in verità, a noi sprovveduti osservatori, appare invece di una banalità sconcertante e di una palmare evidenza perché ruota attorno alla figura e alle opere di Ignazio Marino. Si, proprio lui, il sindaco marziano, come ci pare lo definì il padre del “modello Roma” Goffredo Bettini che Marino l’ha inventato e proposto. Succede che, dopo la sua elezione, il sindaco decida di prendere le distanze dal partito che l’ha fatto eleggere. Un po’ per cavalcare l’onda grillina dell’antipolitica, un po’ convinto della sua missione di Terminator nei confronti di un passato dove politica e consociativismo hanno debordato creando guasti infiniti alla Capitale, ma al fondo con una profonda disistima della classe politica del Pd romano. Un po’ come la pensava sino a qualche tempo fa Matteo Renzi che a Roma non ha mai vinto un congresso.
LO SFALDAMENTO DEL PARTITO – È a questo punto che il partito anziché compattarsi e imporsi al sindaco, si spappola consumando qualche vendetta come quella nei confronti di Bettini che alle europee arriva quarto dopo Gasbarra, competitor inventato all’ultimo momento dagli ex bersaniani dell’on. ex capogruppo Marroni e dai former, neo e (un domani) post renziani. Si incazza Bettini, ridacchia sornione Marroni, scalpitano i renziani che vogliono contare di più nel partito, puntano dritti alle poltrone in giunta gli uomini di Franceschini, ma tutti alla fine fanno finta di non capire che la forza di Ignazio sta proprio nelle loro divisioni. Quindi, cambio di passo, rimpasto, ri-equilibrio dei rapporti e amenità varie finiscono solo per essere segnali di debolezza a fronte di un sindaco decisionista e politicamente più abile di loro. Un sindaco consapevole che senza di lui, bravo o incapace che sia, questi del Pd non hanno proprio nessun futuro.
MIRACOLI O PALUDE – Bilancio, piano di rientro dal debito, tagli e sacrifici fanno intravedere tempi duri per una Roma già in grande sofferenza e allora Ignazio tenta di bypassare la sua rissosa maggioranza per rivolgersi direttamente a Matteo e al Governo. Qui tuttavia potrebbe far male i conti perché nonostante l’occhio vigile del sottosegretario Legnini e l’inserimento al bilancio di Silvia Scozzese che con il ministro Del Rio proviene dalla cosiddetta lobby dell’Anci (associazione dei comuni), non è detto che il governo allenti i cordoni della borsa oltre certi limiti. E allora nella palude non ci finiranno il sindaco o i politici del Pd, ma purtroppo tutti noi. Allora sì che fra quattro anni, alla scadenza di Marino, la sinistra romana non avrà proprio futuro. Sempre che Ignazio non compia il miracolo… anche tutto da solo.
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