Parliamo oggi della situazione dei teatri romani che non può essere oggetto dell’attenzione dei pochi e raffinati cultori della materia, ma riguarda la situazione di tutta la cultura della Capitale che non può essere ridotta ai siti archeologici e ai musei. E partiamo dall’Eliseo che è sempre stato il fiore all’occhiello della borghesia capitolina. Una struttura di proprietà dei privati che intendono sfrattare la società che attualmente la gestisce producendo spettacolo.
SFRATTO RINVIATO – Ne abbiamo parlato tempo fama la notizia di oggi è che il temuto sfratto è stato rinviato al 16 settembre mentre il lavoratori in presidio permanente scrivono su uno striscione “la cultura non si sfratta per interessi privati”. Va detto che numerosi esponenti della cultura e dello spettacolo sono intervenuti nella sostanza per impedire che salti la prossima stagione mentre, per ora, il Comune tace, tutto preso dalla vicenda del Valle e del Teatro dell’Opera che hanno ben altra valenza politica.
TEATRO DELL’OPERA – Al Teatro dell’Opera ci stanno di mezzo i sindacati che hanno fatto saltare alcune serate e sui quali pende la minaccia del sindaco Ignazio Marino di mettere in liquidazione l’ente. Definiti da più parte dissennati e corporativi pare che i sindacati, anche loro in presidio permanente davanti al Marinelli, abbiano annunciato una sorta di tregua armata. «Abbiamo sospeso gli scioperi – fanno sapere Cgil e Fials – perché riteniamo importante la presa d’atto dell’assessore alla Cultura (Giovanna Marinelli di fresca nomina la posto della dimissionaria Flavia Barca) ci ha ricevuti solo grazie a tre scioperi».
UNA TREGUA ARMATA – Ma si tratta appunto di una tregua armata perché i sindacati hanno sottoscritto “solo” un protocollo d’intenti con un percorso. «Il percorso – dicono i sindacalisti- prevede l’attivazione di un livello di monitoraggio sul Teatro all’interno dell’assessorato, e quindi viene meno quella condizione di non ingerenza della politica che voleva Fuortes (il sovrintendente appena nominato) e, in più, viene sfatato il folkloristico teorema del sindaco Marino secondo cui per tre scioperi il Teatro dell’Opera di Roma potesse rischiare la liquidazione».
LA SITUAZIONE AL TEATRO VALLE – Va detto che il 30 settembre il cda uscente voterà una nuova pianta organica del personale lasciando la palla al nuovo consiglio di amministrazione. Intanto, questione ancor più aggrovigliata rimane quella del Teatro Valle, occupato da anni, che entro fine mese dovrebbe venir sgomberato. Di “un ultimatum senza margini per ogni possibile dialogo” parlano gli occupanti che se ne dovranno andare per consegnare la struttura al Teatro di Roma e alla Soprintendenza nazionale per lavori di restauro e messa a norma. Già perché in questi anni il teatro non ha subito manutenzione e tanto meno i “creativi” occupanti hanno pagato le utenze creando anche problemi di legalità, ma soprattutto divisioni con una certa sinistra sempre favorevole alle occupazioni. L’assessore Giovanna Marinelli, già fidata collaboratrice di Veltroni, questa mattina intervenendo a Radio Città Futura ha negato che nell’incontro di ieri con gli occupanti del Teatro sia stata prospettata l’ipotesi di lasciare il teatro entro i prossimi tre giorni: «Questa è stata un’interpretazione dell’ala più movimentista. Nessuno ha detto niente del genere». In sostanza e nonostante l’ala “movimentista” de sinistra sinistra, l’assessore avrebbe offerto agli okkupanti la garanzia che il Valle rimarrà pubblico in quanto affidato al Teatro di Roma. Anzi questo garantirà «l’esperienza del Valle dal punto di vista culturale e artistico».
E IO PAGO – Di questa esperienza, poco nota alle masse delle periferie, si è scritto e riscritto sino alla nausea con giudizi più o meno di parte, ma l’assessore si guarda bene dal fare cenno alla legalità di questa occupazione e agli eventuali guasti arrecati alla struttura, tant’è che appena liberato il teatro settecentesco dovrà essere sotto posto a lavori di “manutenzione e messa a norma” pagati ovviamente dal Comune. Un’esperienza culturale forse unica ma, come al solito, pagata dai cittadini, anche da quelli (ahimè) che a teatro non ci vanno proprio.
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