Che le gerarchie ecclesiastiche non potessero accogliere con entusiasmo la proposta di Ignazio Marino di riconoscere in Comune i matrimoni gay e lesbo celebrati all’estero non sorprende davvero tanto che la Diocesi ne parla come il «tentativo del primo cittadino di scassinare la politica e il diritto, equiparando la trascrizione delle “unioni” omosessuali contratte all’estero con i “matrimoni” ugualmente registrati al di fuori dei confini nazionali, spacciandola come urgenza della città.» Lo scrive papale papale l’organo on line della Diocesi ‘Roma Sette”.
DECISIONI PIU’ URGENTI – Posizione scontata ma che sotto il profilo politico contesta l’urgenza di tale decisione in una metropoli che soffre di ben altri guai e che avverte ben altri bisogni. In effetti il ritorno da San Francisco capitale delle battaglie per i diritti gay e lesbo, deve avere in qualche modo influito sugli umori del sindaco sempre molto attento ai modelli d’oltre oceano, ma che peraltro si è sempre dichiarato cattolico praticante non perdendo occasione per farsi fotografare con papa Francesco per garantirsi le simpatie dei fedeli. Ma, va detto a suo merito, Ignazio è sempre stato sempre all’avanguardia nelle battaglie civili per la dignità della persona. Se poi si tratta, come afferma la Diocesi, di un’idea grimaldello, è tutto da verificare sul terreno giuridico. Evidentemente il sindaco intende interpretare (per eccesso) la ventata di rinnovamento che si leva dai palazzi curiali grazie al pontificato, sicuramente innovativo, di papa Francesco, ma senza volerlo finisce per incrinare un rapporto con la Curia che in qualche modo aveva visto con favore l’elezione del nuovo sindaco della città Eterna.
GIUNTA E CATTOLICI – Un mondo cattolico ben presente nella sua giunta con l’assessore Rita Cutini al sociale espressione della comunità di sant’Egidio. Fuori dal servilismo dimostrato da Gianni Alemanno nei confronti delle gerarchie che in parte (si noti bene) l’hanno sostenuto sino all’ultimo, pesa però il giudizio complessivo sulla gestione di Marino che Sette così descrive: «Certo, a Roma anche il varo di un registro inutile, pensano i promotori, farebbe colpo: vogliono far esplodere i fuochi d’artificio della politica di basso profilo, mentre il tanto atteso rilancio della città ancora non si è visto e le famiglie ne fanno le spese, travolte dalla crisi e dagli aumenti dei costi dei servizi comunali e disorientate da progetti educativi che anziché «promuovere le differenze», come da intenti dichiarati, finiscono per negarle. Solo che dopo l’annuncio della “nuova luce sui Fori” sarebbe ora di far uscire dal buio del tunnel anche i romani e pensare al bene autentico di chi vive in città. Di qualsiasi orientamento sessuale, naturalmente.» Una stoccata in parte strumentale ma in parte frutto degli umori raccolti dalle parrocchie fra il popolo delle periferie. E forse di questo dovrebbe preoccuparsi il sindaco che di quelle periferie poco si occupa.
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