Comune di Roma, stop Metro C: Ignazio Marino e Improta in difficoltà

E' caos in Comune dopo l'annuncio dello stop, le polemiche, le conferenze stampa in Comune

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Che la metro C nel tratto Pantano Centocelle si inauguri o meno sabato poco importa a quel popolo delle circostanti periferie che da anni attende l’opera miliardaria. Contestata anche dalla Corte dei Conti per i costi triplicati negli anni, dal tracciato mutevole e dai cantieri eterni, più che una necessità agli occhi dei cittadini comincia ad apparire oggetto di gazzarra, soprattutto dopo la sceneggiata (al limite di una crisi di nervi) del sindaco Ignazio Marino che convoca ad oltranza costruttori (Caltagirone e Ansaldo) con Atac minacciando pubblicamente calci nel culo ai responsabili del probabile ritardo nella inaugurazione. Si defila l’assessore ai trasporti Guido Improta che solo poche ore prima imputava il ritardo a quisquiglie e bazzecole di facile soluzione.

Per capirci qualcosa di più , almeno per i cultori della materia o per coloro che hanno tempo da perdere, basterebbe sfogliare le cronache dei giornaloni romani di questa mattina. Dai quali si evince che Repubblica va all’attacco delle imprese di Caltagirone e della Finmeccanica di Moretti, il Corriere della Sera minimizza e il Messaggero se la prende con Atac. A ciascuno i suoi padroni. Chi non ne esce bene è sicuramente il sindaco non tanto per la promessa inaugurazione a rischio, quanto per i toni ed i comportamenti poco dignitosi da padroncino della città. Se infatti sente ferita la sua immagine di comandante supremo di una città ben difficile da governare (groviglio di contraddizioni, disagi  e decadenza) ben prima di sbrasare avrebbe dovuto guardare alle responsabilità politiche in casa sua e magari dell’assessore Improta che l’anno scorso sbloccò milioni ai costruttori per far proseguire l’opera. In effetti l’unico e isolato a chiederne le dimissioni è stato il consigliere radicale Riccardo Magi della maggioranza,  da tempo impegnato a documentare con ricorsi alla corte dei Conti sprechi e scarso rispetto delle regole.

E’ come se il sindaco avesse stretto un patto diretto con i cittadini (sul modello di Berlusconi sull’abolizione dell’Imu e Renzi sul job act) dove il suo ‘metterci la faccia’ conta più della realtà. Così Ignazio gioca la sua partita politica e di immagine oltre che sulla metro C, sullo stadio della Roma, le grandi opere annunciate quali la rigenerazione urbane, le caserme, la vendita del patrimonio Erp ecc, ecc,, per partorire poi solo la chiusura di una minima porzione del centro storico e per mandarci in bici qualche borghese (non attempato) ivi residente. Insomma un piglio decisionista e una incazzatura facile che alla fine non scuotono questa città dall’atavico e incistato scetticismo dei suoi abitanti che si vedono tagliare i mezzi pubblici, affogare nel traffico impazzito magari relegati in dormitori coi servizi a 15 chilometri dall’irraggiungibile centro storico.

Se Ignazio non è il padroncino di Roma è sicuramente padrone dei suoi assessori, dei dirigenti delle municipalizzate e dei dipartimenti, insomma di quella enorme macchina capitolina che dà lavoro a 62.000 dipendenti e appalti pubblici sui quali ce ne campano forse il doppio. Lì può esercitare i suoi poteri purché si circondi non di cerchi magici o di favoriti, ma di esperti, di amministratori di lunga esperienza che non vadano a sovrapporre costose consulenze all’esistente, immarcescibile burocrazia di palazzo. Questi potrebbero evitare al sindaco figuracce almeno studiando prima le carte, pianificando e analizzando i progetti comprensivi di relativi rischi. E se la squadra di governo che lo affianca non funziona faccia cadere qualche testa, in fondo Alemanno di rimpasti di giunta ne fece ben cinque.

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