Comune di Roma, Marchini, Meloni e Salvini insidiano il primato del Pd

Il sindaco prepara il rimpasto e non se ne andrà, ma le tensioni degli ultimi giorni hanno riportato allo scoperto gli avversari più temibili

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Non sappiamo se il gruppo dirigente del Pd capitolino abbia cominciato a guardare oltre Ignazio Marino che, stando così le cose, dovrebbe sostenere  ancora per i tre anni e mezzo. D’altra parte non è che la lungimiranza sia uno dei pregi di questo partito che dopo aver conquistato il Comune e fatto il pieno di voti alle elezioni europee non pare abbia brillato per incisività politica. Un Pd romano che campicchia sui fasti Renziani tutto impegnato nella imminente sceneggiata del rimpasto di Giunta che Ignazio ingoierà come una amara, ma inevitabile medicina. Nel gioco delle poltrone capitoline pare stiano esaurendosi le migliori menti di questo partito, “auto-convinto” che un giretto o due di deleghe e assessori possa mettere le pezze ai problemi incancreniti di questa città. Alla fine della prossima settimana il Pd dirà qualcosa nel corso della sua ‘conferenza programmatica’ alla quale (ha annunciato trionfalmente al Manifesto il segretario Lionello Cosentino) parteciperà anche (udite udite) il sindaco in carne e ossa.

CHI INSIDIA I DEMOCRATICI – Sin qui il Pd, ma c’è qualcuno che al futuro ci pensa e si attrezza per conquistare l’ambita poltrona capitolina. In primis l’imprenditore Alfio Marchini che dopo un periodo di meditabonda ‘quiescenza’ rimette in carica le sue batterie con una discreta risonanza mediatica che non fa mai male. Sponsorizzato mesi fa dal senatore ex An, ex Pdl e oggi alfaniano Andrea Augello verrebbe sostenuto da uno schieramento centrista che tuttavia non ha le gambe per reggere l’impresa anche se negli ultimi giorni anche Sel gli ha fatto l’occhiolino. Così anche lui vorrebbe presentarsi al popolo come un candidato ‘civico’ super partes, consapevole che i partititi tradizionali, almeno nella Capitale, godono di una popolarità sotto i tacchi della gente. Da destra si fa insistentemente il nome di Giorgia Meloni sulla quale pesa non tanto la nomea di fascista che poco conta per le giovani generazioni, quanto gli affettuosi e trascorsi legami con Alemanno e la vecchia guardia della ‘destra giovanilista e sociale’ che ha provato a governare Roma con risultati da brivido. Infine spunta il jolly di Matteo Salvini, da noi intervistato pochi giorni fa, che sbarca a Roma e intende presentare la sua lista ‘Salvini’. Che non sarebbe la Lega in senso stretto ma qualcosina per pescare voti nell’astensionismo e in quel 16% di consensi grillini sciupato con una certa compiacenza nei confronti del sindaco ed una sostanziale assenza dai territori.

DISSENSO DA CAVALCARE – Che a Tor Sapienza ne abbiano respinto la presenza non è un buon segnale. Su questa succosa fetta di dissenso populista punta anche il telegenico Alfio, ma Salvini potrebbe avere delle chances perché adotta in parte i contenuti della propaganda grillina (ma non i toni da macelleria politica di Beppe) e punta dritto alle turbolente periferie. Solo che fra tre anni o tre mesi, sarà proprio sui territori fuori dalle Mura Aureliane che si giocherà la partita per la ‘conquista de Roma’ e il Matteo da Milano lo sa. Non sfuggirà che proprio nel corso della sua intervista il giovane lumbard dalle ambizioni nazionali, abbia preso le distanze da una alleanza con i Fratelli D’Italia con i quali ha ottimi rapporti perché tutto fa brodo. Ma ha anche escluso che le recenti adesioni di esponenti della destra  alla Lega possano condizionare le sue scelte da Roma in giù. E poi lui non pensa ad un partito, ma (anche lui!) a un movimento che sfrutti (come Renzi) la sua immagine, usi a man bassa la rete e i social network (come Casaleggio), ma mandi in giro volti giovani e nuovi casa per casa (come il defunto PCI). Non è un caso che ancora questa mattina su Radio Cusano Campus, emittente della omonima Università, abbia detto chiaramente che la «Lega potrebbe presentare un candidato alle prossime elezioni comunali di Roma.»

PERIFERIE E ABBANDONO – Rilasciando pillole di saggezza quali «l’abbandono non può che portare a situazioni come quelle che si sono verificate a Tor Sapienza» facendo poi sapere di aver parlato con gli abitanti di alcuni quartieri di Roma. Dove «la presenza dei campi rom e dei centri di accoglienza per immigrati non fa che aggravare ulteriormente i problemi esistenti. Se lo Stato non c’è, il rischio è che la gente si ribelli.» Toni soft che vorrebbero creare l’immagine rassicurante della Lega law&order e ripulendola dalle scorie di quella xenofobia e da quel razzismo da bar di periferia che nella città del Papa non pagherebbero. Poi ha spiegato che «il nome del partito non sarà ”Lega Nord”» ma che al centro sud presenterà un soggetto «che si rifà alle nostre battaglie per la sicurezza e per la difesa dei servizi pubblici.» Insomma, Salvini ha fiutato che la crisi economico/sociale e la sostanziale ingovernabilità di questa città stanno generando flussi di opinione dallo sbocco fluido ed imprevedibile. Soprattutto nelle vaste praterie dell’astensionismo che tutti vorrebbero pescare. Nasce così una interessante miscela etichettata (per ora) dai Marchini, dalle Meloni, dai Grillini e adesso pure dalla Lega. Un potenziale ordigno che nemmeno l’icona pop di Renzi potrebbe disinnescare in questa capitale strana e imprevedibile.

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