C’è molto di scandaloso per una grande capitale europea che la notte di San Silvestro si debba vagare per ore prima di riuscire a tornare a casa con un mezzo pubblico o un taxi. Soprattutto per una città, qual è nella mente di Ignazio Marino, aperta ai grandi eventi e allo sviluppo del turismo.
LO SCANDALO – Anche escludendo, per carità di patria, l’assenteismo, ovviamente per malattia, dei conducenti metro, rimane lo scandalo dei taxi che dopo la mezzanotte non solo sono divenuti introvabili, il che sarebbe il meno se ormai non fosse invalso l’uso di contrattare il prezzo e la destinazione come è capitato al sottoscritto. Perché abbiamo potuto personalmente constatare richieste per 100 euro a corsa da piazza di Spagna o 20 euro a persona in prossimità di via del Corso che hanno indotto molti ad avviarsi verso la metro a servizio ridotto o addirittura a piedi. Se le cose stanno così, e a quanto ci risulta non solo per la notte di capo d’anno, ma anche in altre occasioni, tanto varrebbe liberalizzare davvero il servizio superando quel corporativismo della categoria che si è manifestato in più occasioni. Capitolo a parte (ancor più grave) è quello dei vigili urbani colpiti da una improvvisa e non meglio precisata, epidemia che è poi una sorta di sciopero bianco contro una amministrazione con al quale sono ad tempo ai ferri corti.
TRE CATEGORIE – Tre categorie forti, vigili, manovratori Atac e tassisti, ciascuna a modo suo protetta che hanno voluto dare una zampata a Marino dimostrando che le corporazioni di Roma non sono finite con il medioevo, ma sopravvivono alla grande. Da Renzi alla ministra Madia è stato un susseguirsi di intimazioni, minacce ed altro che, come le grida, di manzoniana memoria, non sortiranno effetti perché le leggi esistono, ma esiste anche la possibilità di eluderle (e l’italica stirpe ne è maestra). Che poi sulla ‘vacanza’ dei pizzardoni, debba intervenire un presidente del Consiglio quando sono nei loro pieni poteri un sindaco, un assessore e schiere di pagatissimi dirigenti comunali, risulta francamente ridicolo. La Roma di ‘Mafia capitale’ e della corruzione diffusa viene così ferita da categorie protette che hanno tratto alimento nei decenni da un sistema consociativo di potere che le ha garantite con la copertura dei sindacati (tutti) più interessati alle tessere che al bene comune o al precariato. Basti vedere cosa sta succedendo anche con il salario accessorio e le nuove regole che il Comune ha imposto ai sui dipendenti forse (questa volta si) con un difetto di concertazione preventiva. Resta il fatto che i vertici capitolini, fuori dai soliti proclami che sono ormai la moda di chi ci governa, non governano più una macchina di 63.000 dipendenti, municipalizzate incluse. Come di solito accade, anche questa volta tutto passerà in cavalleria, almeno sino a quando lo Stato stringerà i cordoni della borsa per Roma e allora chi governa la città dovrà per forza ricorrere a ristrutturazioni e tagli che non sono certamente i pochi milioni che il Comune vorrebbe risparmiare dimettendo quote di Eur e Fiera di Roma. Quisquiglie a fronte dei baratri di bilancio delle municipalizzate e quindi della necessità di investimenti e capitali freschi anche dall’estero per trasporti, immondizia e le grandi opere di decoro urbano. Che se ciò avvenisse le corporazioni comprenderebbero che la tutela dei loro diritti e dell’occupazione sono subordinate all’efficienza, alla professionalità del mestiere, senza escludere il licenziamento anche nel settore dei pubblici servizi come nella estrema logica del job act.
LA DECADENZA – Nel frattempo Roma decade, spreca il suo potenziale turistico che comunque cresce, delude i cittadini, emargina le periferie e i giovani, spreca occasioni di nuovo impiego, mortifica le start up che pure esistono. Una città anchilosata dalla mancanza di soldi, ma anche di idee, di cultura e di governance. Una città che progetta la rigenerazione urbana di lungo periodo ma dove i cantieri per il decoro urbano, l’assestamento stradale e le tante piccole opere di quartiere languono . Una città incattivita dalla corruzione diffusa nella stessa macchina capitolina, una città scarsamente solidale, chiusa nei protettivi ambiti familistici o nell’egoistica indifferenza. Scaricare su Marino o addossare tutte le colpe ad Alemanno, che pure ha generato una classe di governo di rara avidità, è puerile, ma soprattutto antistorico. Perché i guasti hanno radici nel Paese di cui la Capitale è lo specchio, poi nella crisi che ha ridotto al lumicino le amministrazioni locali, ma anche in precedenti pratiche spendaccione e clientelari che si sono stratificate negli anni, quasi ossificate in un sistema monolitico. Per cui la radicale ( conclamata)chirurgia dei trapianti non serve, ma solo quella metodica pulizia delle ferite, la graduale rimozione dei tessuti decomposti e infine l’accurata medicazione possono riabilitare il corpaccione malato di questa nostra città. Operazione che può andare a scapito di un consenso elettorale ormai declinante nella sfiducia generalizzata.
[form_mailup5q lista=”campidoglio”]