Il fundraising è ormai divenuta l’ultima spiaggia per salvare il patrimonio culturale e archeologico di Roma. Dopo il milione dell’Azerbijan che sta facendo affari d’oro per il gasdotto della Sapiem che arriverà in Puglia, dopo le promesse di qualche Emiro il sindaco Marino si appresta a una trasferta di 4 giorni negli States per trovare i soldi. In verità Marino negli States ci va spesso e volentieri, se non altro per il fatto che li ha frequentati per anni come chirurgo dei trapianti, ma sino ad oggi l’unico investimento serio e di carattere puramente ludico/commerciale che dagli Usa proviene pare quello del nuovo stadio della Roma firmato Pallotta &Parnasi che qualche cavilloso urbanista vede più come operazione a fine di lucro immobiliare/commerciale, che come donazione alla inesausta voglia di circenses dei romani. Solo che questa volta Roma Capitale ha pubblicato lo scorso 13 maggio un avviso per selezionare un soggetto a cui affidare lo svolgimento dell’attività di fundraising (che “vvordì” “caccia a li sòrdi”) in ambito statunitense per conto dell’amministrazione capitolina.
Il Campidoglio, si legge nell’avviso, «a seguito della campagna promozionale mirata alla diffusione della conoscenza del patrimonio artistico e archeologico di Roma condotta presso le istituzioni culturali degli Stati Uniti» ha riscontrato «un forte interesse, da parte di soggetti privati statunitensi a effettuare elargizioni liberali a sostegno della valorizzazione di detto patrimonio». L’avviso è rivolto a organizzazioni che abbiano una documentata esperienza specifica maturata nel settore del fund raising in ambito Usa, costituite e…. che siano in possesso dello stato di esenzione fiscale ai sensi dell’Internal Revennue code-section 501 del Federal Tax Exemption Status, cosicché gli eventuali donatori possano beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla legge americana. La durata dell’incarico sarà di un anno a partire dall’affidamento del servizio.» Nulla da obiettare, anzi ben venga se Ignazio ha riscontrato un “forte interesse” di qualche magnate americano innamorato del Portico di Ottavia, del Teatro Marcello, del Circo Massimo, della tomba di Cecilia Metella e tanto altro ancora.
Se non fosse che il fundraising (lui non lo chiamò così per rispetto all’italica lingua) l’aveva già inventato Gianni Alemanno che senza andare negli States, se non per imparare come fare lo sceriffo (anche lui), convinse l’italianissimo padrone delle Churc e delle Tod’s nonché finanziere d’assalto, Diego Della Valle a scucire 25 milioni per il restauro del Colosseo. Sarà che dagli imprenditori italiani Marino non schioda, sarà perché il ministero di Franceschini che ha in carico tutto il patrimonio storico dello Stivale con Roma è piuttosto stitico nonostante i reiterati scambi di amorosi sensi fra ministro e sindaco, sarà perché gli emiri tardano a scucire tutti impegnati a finanziare Isis sottobanco, fatto sta che questa volta Ignazio va a cercare una società americana specializzata nel trovare i quattrini. Con la differenza che se l’imprenditore al massimo intende sponsorizzare il suo marchio, il fundraising potrebbe fare lo stesso trattenendosi le spese. Perché queste organizzazioni saranno pure no-profit ma dalle spese ci debbono pur rientrare.
Recentemente il quotidiano economico 24Ore ci spiegava che il fundraising in Italia viaggia su una media di 5-6 miliardi di raccolta all’anno nei settori riguardano l’educazione e le istruzione, la sanità pubblica, il sistema della cultura, tra musei, teatri biblioteche. Addirittura a metà mese si è tenuto un Festival del Fundraising, che rappresenta il più importante appuntamento italiano con le aziende e i volontari del settore nel corso del quale si costruiscono network e si confrontano esperienze in un settore che conta 600 operatori. E allora è proprio necessario che il sindaco vada avanti e indietro dagli States per una scusa o per l’altra quando le soluzioni sono magari a portata di mano? Oppure per Marino l’erba dei lontani Usa è sempre la più verde di quella europea?
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