Mafia Capitale: Marino non cade, ma Roma è di fatto commissariata

Alcune direzioni di dipartimento e qualche Municipio vedranno di certo dei cambi al vertice

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Roma non verrà dunque commissariata per mafia, almeno a leggere le indiscrezioni pubblicate su tutti i quotidiani, ma verrà sicuramente commissariata per infiltrazioni mafiose e diffusa corruzione  nei suoi gangli vitali, vale a dire alcune direzioni di dipartimento e qualche Municipio. Un giudizio tranchant sulla macchina amministrativa che già l’assessore alla legalità Sabella aveva espresso affermando che anche laddove sono state individuate collusioni o fenomeni di corruzione, alla fine della fiera non si riesce a rimuovere o licenziare nessuno, men che mai se dirigente.

IL DUBBIO – I cultori della materia si diletteranno a capire se questa scelta, maturata nel corso della riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto ieri dal prefetto Franco Gabrielli, sia una sconfitta per il sindaco Ignazio Marino dalla indubitabile onestà o una vittoria della sua linea della trasparenza e della legalità manifestatasi solo dopo le retate del dicembre scorso. In ogni caso sarà il Governo a decidere dopo che il ministro dell’interno Alfano presenterà a Renzi le conclusioni contenute nel rapporto.

LA CORRUZIONE DILAGANTE – Che la corruzione (talora solo clientelare) anche antica allignasse nella amministrazione capitolina e nelle municipalizzate, lo dimostrano le campagne condotte anche da questa testata dal 2011 in poi (fra querele e minacce anche fisiche) sull’emergenza alloggiativa agli sfrattati (i residence), i Punti verde qualità dove i limiti del codice penale vengono spesso toccati, sulle assunzioni di “parentopoli” e non solo. E ancora sui potenti “comites” di Alemanno quali Panzironi e l’ex capo della segreteria del sindaco Antonio Lucarelli, punta emergente di una famelica classe di governo in parte ex fascista che andò ad occupare tutto quanto era occupabile o fruibile anche per profitto personale dopo la vittoria su Rutelli nel 2008.

ABUSO DEL POTERE POLITICO – E’ quello il periodo di massimo sviluppo degli affari delle coop sociali di Buzzi, mentre nella macchina amministrativa (spesso intorpidita), e alcuni suoi dirigenti si fiuta e ci si adegua all’andazzo generale. Si proroga a tutto spiano senza bandi, si centuplicano le somme urgenze, aumentano le assunzioni clientelari, si arriva a debiti fuori bilancio per decine di milioni ecc. E’ proprio con l’avvento di Alemanno che emerge a la cosiddetta logica spartitoria del potere politico per il semplice motivo che la nuova classe dirigente non aveva esperienza di governo, mentre l’opposizione di sinistra sì. Quando si comprende che il tempo di Gianni è concluso si scatena in consiglio la battaglia della sinistra contro la cessione delle quote Acea, ma tardi.

SPARTIZIONI – In ogni caso era implicito che il ‘sociale’ (zingari, sfrattati immigrati ecc) dovesse venir spartito fra coop rosse e bianche, come era implicito che il controllo di Ama (con il solerte appoggio della Cisl) spettasse alla destra, quello di Atac (con il sostegno della Cgil) alla sinistra, scendendo giù giù per i rami di poltrone e consigli di amministrazione spartiti con il bilancino. Carminati, la cui funzione nel sodalizio con Buzzi non è ancora del tutto chiara, già esisteva da tempo. Il “re di Roma” noto per altri traffici e imprese (droga esclusa) forse più lucrose.

IL RUOLO DELLE MAFIE – Così come da tempo era noto che le mafie classiche, ‘ndrangheta, camorra e mafia stavano occupando i territori metropolitani avvalendosi di proconsoli quali la famiglia Fasciani a Ostia, o dei Casamonica. Questa penetrazione dilagava proprio quando la magistratura ne rivelava l’esistenza nella grande Milano per appalti e affari ben più lucrosi del ‘sociale’ nostrano. Infiltrazione fortemente negata allora dal locale prefetto e dall’allora sindaco Letizia Moratti.

GLI ERRORI DI MARINO – Succede che vince il Marziano, come il suo sponsor Goffredo Bettini definì affettuosamente Ignazio Marino. Più che un Marziano, un Alieno che della grande Roma percepisce sì e no il territorio ricompreso fra le mura aureliane, ma che commette l’errore iniziale di non porre mano alla macchina amministrativa lasciando, ad esempio, al loro posto lo stesso ragioniere generale e lo stesso segretario, poi anche direttore generale, che avevano collaborato con Alemanno. Le direzioni di dipartimento subiscono qualche modifica, ma Ignazio fa proprio il legato di Gianni che gli passa le consegne. Poi sceglie due assessori di valore quali Guido Improta ai trasporti e Daniela Morgante al bilancio che entreranno successivamente in contrasto sulle strategie di risanamento finanziario del Comune che porteranno l’assessora competente alle dimissioni. Marino tuttavia fa qualche cosa di più, anziché avviare una seria ricognizione sullo stato della macchina amministrativa e sui suoi dirigenti (alcuni dei quali oggi inquisiti), punta sul suo staff personale, con uomini scelti da lui e a lui fedeli che non hanno competenze ed esperienze specifiche ma costano milioni. Quanto agli altri assessori cede alle pressioni del Pd con qualche verniciatura di autonomia come nel caso del competente assessore all’urbanistica Caudo. Scelte che maturano più sulla scorta della fedeltà che dalla competenza anche nelle passate amministrazioni. La nota diffidenza del sindaco accentratore lo porta ad una dannosa presbiopia per cui si diletta a guardare lontano (a modelli europei avanzati o a quelli dei tanto amati States) senza accorgersi di cosa gli succedeva sotto il naso con una città che nel frattempo si discompone nei suoi servizi essenziali.

L’INEVITABILE PARALISI – Arrivano gli arresti, arriva l’assessore alla legalità ed è un continuo via vai di dossier portati alla Procura, qualche dirigente viene rimosso e si inventano gli utili strumenti della rotazione del personale ma la macchina si paralizza fra la paura e la riscoperta della nobile arte della segnalazione o denuncia che sia. Trasparenza, legalità, equilibrio diventano le parole d’ordine, ma solo parole. Il resto è storia recente: le affermazioni di Renzi successivamente smentite, i sondaggi a picco per lui e il Pd, Il Consiglio privato di un capogruppo di maggioranza e di ben 4 consiglieri fra indagati e uno di minoranza, stessa sorte per un presidente di municipio, un assessore arrestato. Con un fiorire di arresti fra funzionari di qualche municipio altri del comune in galera o ai domiciliari, l’arresto di un assessore, le dimissioni ‘spontanee’ di altri 3 consiglieri di maggioranza.

LA RELAZIONE DI GABRIELLI – E veniamo al rapporto di Gabrielli che certifica le dimensioni del disastro supportato dal Procuratore Pignatone che non ha ancora chiuso l’indagine e punta ora i riflettori sulle mafie ‘classiche’ nella nostra città. Roma non è ‘mafiosa tout court’ ma in questa situazione è una metropoli sicuramente ingestibile. Sarebbe ancor più ingestibile, lo sa bene anche Renzi, con le dimissioni di Marino che di questa oggettiva situazione fa invece la sua forza. E la politica? Arretra, ne esce screditata nonostante i lodevoli sfarzi di autocritica promossi dal commissario del Pd Orfini e dal rapporto sul ‘Pd cattivo e pericoloso’ di Barca. Si crea una nuova opposizione che spazia dal M5S ai padani di Salvini e cresce il vero partito maggioritario di coloro che nemmeno votano e voteranno.

IL TUNNEL – Eppure da qualche parte bisognerà pur cominciare per uscire dal tunnel e la mano forte di Gabrielli, la sostituzione dei dirigenti con la nomina di funzionari del Governo, l’attenzione della Procura su fenomeni corruttivi (se non mafiosi) ancora tutti da rivelare, appare la via giusta. La via dell’emergenza, con tanti saluti alla Città Metropolitana che per ora non è una priorità.  Altro che ‘cambio di passo’ invocato da un Pd ormai alle corde, ma un commissariamento di fatto sul quale anche il presidente del consiglio gioca la sua credibilità.

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