Orfini vuole cacciarlo ma il presidente di Tor Bella Scipioni non molla

La colpa del minisindaco sarebbe quella di essere coinvolto nell'affaire Tor Vergata

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Il presidente del VI municipio Marco Scipioni è balzato ormai all’onore delle cronache per il suo scontro con il proconsole di Renzi nella capitale, Matteo Orfini commissario del Pd romano che lo vorrebbe dimissionario. Ma Scipioni è un osso duro e non ha alcuna intenzione di dimettersi perché, dichiara in una sua recente intervista, «non ho fatto nulla di male non intendo sottostare a un diktat dittatoriale e infantile».

L’AFFAIRE TOR VERGATA – La sua colpa sarebbe quella di essere coinvolto nell’affaire Tor Vergata, cioè nella vicenda che nasce dai sigilli apposti alla manifestazione estiva Roma Capital Summer che avrebbe dovuto svolgersi proprio in prossimità del Campus. Il minisindaco si sente messo sotto accusa dal suo stesso partito e per questo invoca l’intervento di Matteo Renzi: «i commissari del partito non mi hanno mai incontrato, ma anzi hanno chiamato i miei consiglieri uno per uno per chiedere loro di non sostenermi minacciando altrimenti di non far parte più del Pd. Una cosa assurda e completamente antidemocratica».

IL PRETESTO – Ma Orfini, ormai nella veste di Commissario del popolo di bolscevica memoria, assicura che farà presentare una mozione di sfiducia da parte dei consiglieri municipali dello stesso Pd. Eppure l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella aveva confermato al minisindaco che «gli atti politici (delibere di Giunta e Consiglio) non presentavano apparenti criticità» ma nel caso delle discutibili concessioni al Roma Capital Summer, già sgomberata dall’area, gli avrebbe segnalato che «sulla base delle delibere erano stati adottati atti amministrativi che destavano più di una perplessità e che sembravano chiaramente orientati a favorire qualcuno, ragion per cui si è deciso di interessare della questione la Procura». Già, la Procura, cui ormai è d’uso rivolgersi per ogni questione. Eppure dalle parole di Scipioni sembrerebbe che quell’evento sia solo un pretesto per farlo fuori.

A PENSAR MALE… – A gettare un po’ di acqua sul fuoco oggi è stato il prefetto Gabrielli che prende la larga dalle beghe interne del Pd e afferma che gli sono state messe in bocca (ma da chi? ndr) «cose che io non ho mai detto. Potrei anche pensare quelle cose – aggiunge- ma non le ho mai dette». Che non è proprio una piena assoluzione, perché a pensar male… non si sbaglia mai. Tuttavia il Prefetto fa sapere di non esser «mai entrato nel merito delle vicende, soprattutto penali o riguardanti illeciti amministrativi», mentre il III e il VI Municipio non rientrano nella sua relazione sulla quale Alfano dovrà decidere.

LE CAUSE DEL “DIMISSIONAMENTO” – Va ricordato che Marco Scipioni del Pd vince il ballottaggio contro Massimiliano Lorenzotti nel 2013 con 42.698 voti dopo aver percorso tutto il suo iter politico nel Municipio di Tor Bella Monaca che è qualcosa di leggermente diverso rispetto ai Parioli o Ponte Milvio. Ma Orfini deve pur avere le sue carte da giocare se in una nota afferma che «dopo una approfondita verifica degli atti amministrativi e dopo aver valutato le modalità di relazione tra il governo municipale e l’organizzazione territoriale del Pd – scrive insieme all’on. Gennaro Migliore, commissario del Pd VI Municipio (ex compagno di Vendola e da poco confluito nel gruppo parlamentare del Pd) – abbiamo valutato che nel territorio del VI Municipio non sussistano più le condizioni affinché il presidente Marco Scipioni rappresenti la nostra organizzazione al vertice dell’istituzione municipale». Probabilmente le cause profonde della richiesta di questo “dimissionamento” risalgono alle beghe interne al Pd romano, visto che Scipioni è stato sempre vicino politicamente ai consiglieri comunali Pierpaolo Pedetti e Mirko Coratti che sono incappati nelle maglie dell’indagine si mafia capitale. Considerato un esponente della corrente Pd riconducibile al deputato Umberto Marroni, Marco Scipioni nel 2013 vinse le primarie contestate, che portarono una parte del Pd locale (quella vicina al deputato Morassut) a dare vita a un’altra lista (“fu l’allora segretario cittadino e attuale deputato Marco Miccoli a suggerirci di fare così”, raccontano i protagonisti della lista Dim) e a formare una coalizione separata con Sel, che non a caso, oggi siede, a differenza del resto della città di Roma, fra le fila dell’opposizione. Vista così l’operazione Scipioni non si discosta molto da un regolamento di conti con parte della vecchia dirigenza del Pd romano. Sorprende semmai che Matteo Orfini, figlio a pieno titolo di quel Pd capitolino con tutte le sue faide, solo oggi ne scopra la cancrena.

 

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