Chi a sinistra non ha mai conosciuto Buzzi scagli la prima pietra. Lo stesso potremmo dire nel caso di Carminati per molti sodali dell’ex sindaco Gianni Alemanno, con la differenza che se i rapporti con Carminati erano addirittura personali e per alcuni di antica militanza politica, nel caso di Buzzi a sinistra, si aveva a che fare con una icona del sociale che recuperava ex carcerati, disabili e disagiati per lavori utili, tanto da costruire una sorta di impero con migliaia di dipendenti. Ora succede che tutti coloro che sono incappati nelle intercettazioni dei Ros ad uno ad uno, assessori consiglieri, dirigenti e quant’altro finiscano per dimettersi con l’unica eccezione del Magistrato e assessore Alfonso Sabella, che sicuramente non ha mai conosciuto Buzzi e tanto meno conosce Roma anche se indicato da alcuni come possibile vicesindaco.
TRITACARNE MEDIATICO – Ha quindi ragione Luigi Nieri, appena dimessosi e non inquisito, quando scrive nella sua missiva d’addio «il tritacarne mediatico vomita ogni giorno articoli, riportando intercettazioni riciclate da oltre 6 mesi, sbattute sulle prime pagine di quotidiani nazionali e caricate dalla superficialità di titoli che cercano di far passare per nuove cose vecchie di totale irrilevanza penale e giudiziaria». Che è la pura e semplice verità in un clima punitivo di paranoia giustizialista che potrebbe colpire anche gli eventuali candidati alla poltrona di Nieri. Non escluso l’on Fabio Melilli, indicato quale possibile vice sindaco, segretario regionale del Pd, già dirigente dell’Anci di Del Rio prima e Fassino poi, che viene citato in una intercettazione del Ros del 22 luglio nella quale Luca Odevaine, il consulente del Ministero del’Interno per l’immigrazione amico delle coop sociali rosse e bianche, parla di una richiesta di assunzione per la figlia dell’onorevole. Questo, secondo la logica punitiva del tritacarne mediatico, basterebbe ad escluderlo perché sicuramente qualcuno tirerebbe prima o poi fuori la faccenda.
IL NODO – Ma quello di Melilli potrebbe non essere l’unico caso se non si comprenderà, finalmente, che il problema di Roma è tutto politico e non giudiziario dal momento che la relazione del prefetto Gabrielli non addita Roma quale ‘città mafiosa’, ma corrotta nei suoi gangli amministrativi e quindi infiltrata ed infiltrabile da organizzazioni mafiose o similmafiose. In questa situazione ancora fluida per la possibilità di ulteriori sviluppi nelle indagini, diviene così difficile che un parlamentare (si son fatti i nomi di Meta, Morassut e Tocci oltre quello di Melilli), accetti di infilarsi nella poco gratificante bolgia romana. E quando l’attuale assessore Marta Leonori lo fece, il clima era ben diverso dopo quelle elezioni che il Marziano vinse, anche se con un 50% di astensioni. Il quesito politico è quindi il seguente: chi governa oggi questa città, con un sindaco che dopo due anni di permanenza in Campidoglio non può vantare buoni risultati e si avvolge nella bandiera della legalità forte di una indagine devastante che peraltro ha rivelato intrecci, liason e impicci di antica data. La foto della prima giunta Marino è ormai quasi irriconoscibile e piena di buchi dopo le dimissioni di 4 assessori, l’arresto di uno, le probabili dimissioni di un altro (e forse due), con un Consiglio falcidiato dall’inchiesta nella sua maggioranza, un municipio commissariato e un altro in forse. Il toto assessori incorso diviene quindi la palestra ludica di indiscrezioni artatamente lasciate filtrare ai giornalisti per favorire i giochi di questo o di quello all’interno di ciò che resta del Pd dopo la relazione del prof. Fabrizio Barca. Con il risultato di rendere ancora meno credibile l’immagine di una capitale che si appresta ad affrontare il Giubileo e che oggi si candida ufficialmente alle Olimpiadi del 2024.
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