Si dovesse dar retta ai numeri Atac è tecnicamente fallita, ma di qui a portare i libri in tribunali ce ne corre. Per salvare la società di trasporto pubblico tocca ricapitalizzarla urgentemente con 200 milioni di euro, per un’azienda che registra un calo dell’utenza, della produzione e delle manutenzioni di un parco macchine che vede un autobus su tre (e forse più) in panne. Dai conti risulterebbe una perdita nel 2014 di 141 milioni più altri 60 per il solo semestre di quest’anno. In queste condizioni invocare un nuovo piano industriale è quantomeno ridicolo se si pensa che in 6 anni di piani industriali se ne sono visti almeno tre, quasi uno ogni cambio della guardia e con un solo aumento del costo del biglietto.
Ma chi dovrebbe metter questa montagna di soldi? Della strombazzata vendita degli immobili aziendali dismessi, vantata sin dai tempi di Alemanno, non si parla più nonostante fior di delibere approvate. Di aumentare le tariffe men che meno considerando il clima di sfiducia che circonda questa amministrazione. Il lavoro anti evasione dei 400 (presunti) verificatori non dà ancora i frutti sperati sempre che sia realistico pensare ad una evasione del 30%. Infine gli enormi disagi di queste settimane soprattutto sulle metro A e B, inducono associazioni dei consumatori, più o meno credibili, ad invocare la precettazione contro lo sciopero proclamato da alcune sigle sindacali per lunedì prossimo, o addirittura il licenziamento. Punizioni esemplari che soddisferebbero una certa vena forcaiola di qualcuno anche in Campidoglio ma che non sposterebbero ben poco una situazione ormai di cronica sofferenza. I guai non finiscono qui perché in aprile Atac aveva definito il bando per l’acquisto di 700 nuovi bus.
L´accordo valeva per 4 anni con un leasing di 10 anni ed una fornitura urgente di almeno 300 bus, 100 dei quali a consegna dal gennaio 2016. «Quindi utili al miglioramento del servizio in occasione del Giubileo» scriveva allora un comunicato. Insomma una misura inderogabile se non fosse che per stipulare un contratto di leasing per milioni di euro, ci vogliono le banche, le quali a quanto pare e preso atto della situazione finanziaria della società, nicchiano. Anzi non si fidano proprio.
Ci mancherebbe allora che si affrontasse il Giubileo con metà dei bus azzoppati e la metro a singhiozzo. Inevitabilmente la ‘soluzione finale’ sta nelle mani del Governo che tarda a stanziare i 400 milioni previsti per la sacra celebrazione in attesa degli sviluppi politici della precaria situazione capitolina. E in più potrebbe mettercene altri 200 per ricapitalizzare l’azienda. Sarà così generoso Matteo Renzi? Ne dubitiamo e forse ne dubita lo stesso assessore dimissionario Guido Improta. Pertanto già si parla di proroghe, deroghe e quant’altro, mentre qualcuno comincia a pensare che una privatizzazione, sia pur parziale ma in tempi rapidi, di Atac possa essere la soluzione migliore. In tal caso l’utenza si tolga dalla testa l’euro e 50 del biglietto e i sindacati, piccoli o grandi che siano, di continuare a fare il bello e cattivo tempo. Qundi una ipotesi all’italiana con una bad company che si carica tutti i debiti e una new company che comincia ad operare con criteri di efficienza e redditività. Neoliberismo estremo? Nient’affatto, piuttosto àncora di salvezza per evitare alla già scarsa utenza (25% dei romani) di dover andare a piedi, utilizzare la bicicletta o ributtarsi nell’inferno del traffico con il proprio mezzo.
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