Sul ruolo dei prefetti contro le mafie la letteratura è vasta. Fra tutti emerge la figura del prefetto Mori, dalla cui storia degli anni 30 del secolo scorso fu tratto un film con Franco Nero nelle vesti dell’incorruttibile e duro funzionario dello Stato, salvo poi venir scaricato da Mussolini nel più completo oblio. Oggi gli onori delle cronache vanno a Franco Gabrielli ex prefetto dell’Aquila, ex capo della Protezione civile e grande gestore del naufragio al Giglio, già direttore del Sisde, già investigatore antiterrorismo sino alla cattura dell’ultima brigatista rossa Nadia Desdemona Lioce nel 2003. Oggi, dopo le decisioni del Governo sulla Capitale, Gabrielli si defila e rifiuta pudicamente gli appellativi della stampa, che lo segue con simpatia, di affiancatore-coordinatore-supervisorecommissario-guida-tutor e badante di Ignazio Marino, salvo stecchire il sindaco vacanziero con alcune battutine fulminanti sulle sue immersioni ai Caraibi e sulle sue assenze durante l’accadere di gravi avvenimenti per la città. Battute bonarie, certo, che men che mai possono scalfire l’inossidabile sindaco il quale, a ben vedere, del prefetto non avrebbe gran che bisogno visto che ha già fatto e fa tutto lui, ma dal quale non disdegna (benignamente) la leale collaborazione.
Un “mantra” di rito quello di Marino che non significa un bel niente se è vero che, solo pochi giorni fa, Gabrielli affermava “papale papale” che se gli amministratori del Campidoglio non fanno i bravi lui il Comune lo scioglie lo stesso sulla scorta della facoltà che gli concede il testo unico sugli enti locali. Ammonimento che deve essere sfuggito a Ignazio che se ne torna con tutta calma in città giusto per la passerella mediatica della manifestazione contro le mafie al Tuscolano. Ben 15 giorni dopo il funerale dei “Casamonicas” che ha superato le notizie degli arresti e dei sequestri dei beni ai clan avvenuti in questi anni. Che non fanno clamore perché sono mestiere delle delle forze dell’ordine, mentre enfatizzare il pacchiano funerale è mestiere dei cronisti. In ogni caso la soluzione di compromesso adottata per Roma non convince e crea equivoci.
Ad esempio con l’assessore legalità Alfonso Sabella per i quale, ha dichiarato stamane a una radio «il prefetto Gabrielli ha i poteri di ogni prefetto in Italia. Non affiancherà nessuno, gli atti del Comune sono del sindaco, altrimenti sarebbe una violazione della Costituzione. I romani hanno un sindaco, che può essere giudicato come si vuole, ma il sindaco c’è ed è uno solo». Infatti, secondo questa logica, il sindaco è eletto dal popolo e nessuno glielo toglie prima del prossimo voto a meno che il Comune non venga sciolto. Argomentazione legittima se non fosse che c’è stata una ponderosa documentazione sulle infiltrazioni mafiose nella Capitale ed una relazione di Alfano che ne ha escluso il commissariamento, ma non la sorveglianza ed il controllo sugli atti e gli organi amministrativi del Campidoglio. Tant’è vero che oggi parte di questi atti e molti dipartimenti ricadono sotto il controllo di funzionari prefettizi che subentrano anche nel commissariamento del municipio di Ostia appena sciolto.
Inoltre l’Anticorruzione di Cantone terrà sotto il mirino gare e appalti. Rebus sic stantibus ci si potrebbe anche chiedere se un assessorato alla legalità, unico in Italia, serva ancora. Certo l’esperienza di Sabella è stata preziosa per il sindaco che l’ha sempre tenuto in palmo di mano. Ha bevuto con dignità l’amaro calice del commissariamento di Ostia prima dello scioglimento del municipio, ma per quanto alacre sia stata la sua attività soggetta (a grande esposizione mediatica) il suo incarico risale solo a poco meno di 5 mesi fa. Quindi, tanto per semplificare, resta il dubbio se Sabella affiancherà Gabrielli o Gabrielli affiancherà Sabella. Tertium non datur.
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