Sarebbe ora che il Pd e il suo commissario romano Matteo Orfini (che peraltro non ha saputo gestire politicamente la questione perché ha sottovalutato l’astuzia di Ignazio Marino) facessero chiarezza e dicessero alla pubblica opinione che Marino non se ne deve andare per una squallida storia di scontrini e costose bottiglie di vino, ma semplicemente per non essere stato in grado di amministrare questa città. Come dimostrano anche i sondaggi che valgono (a dir poco) la presenza di qualche migliaio dei suoi supporters al Campidoglio previsti domenica e che non rappresentano certo i milioni di cittadini alle prese con il degrado della capitale.
Così bisogna sfatare la leggenda di un sindaco senza macchia che combatte le mafie come san Giorgio fece contro il drago, perché il merito va semmai ascritto al procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, il quale ha cominciato a ripulire la situazione dopo due anni nei quali Ignazio chiudeva i fori e cominciava a viaggiare senza neanche avviare un minimo di “enquiry” interna sullo stato della macchina amministrativa. Salvo poi farsi vanto di aver chiamato LUI gli ispettori del Ministero dell’Economia e Finanza per quella relazione sul cosiddetto salario aggiuntivo dei “comunales”, problema antico e irrisolto dalle precedenti amministrazioni (e che riguardava anche altri grandi comuni italiani). E sebbene la relazione toccava altri aspetti di questa macchina di 22.000 dipendenti si è intervenuto con spostamenti e rotazioni solo che dopo l’assessore alla legalità Sabella ci si mise di buzzo buono, cioè appena qualche mese fa.
Quanto poi alla chiusura della mega discarica di Malagrotta, fiore all’occhiello dell’azione politica Marino e della sua omonima assessora Estella, il Comune non ha competenza ma ce l’ha la Regione Lazio che ha dovuto adeguarsi alla normativa europea, pena salatissime sanzioni. L’unica decisione del sindaco è stata quindi quella di portare i rifiuti Ama non trattati e indifferenziati al Nord e all’estero: qui vengono bruciati nei terribili, innominabili termovalorizzatori e gassificatori banditi dal Lazio. Un’operazione di trasporto da 40 milioni euro l’anno che, comunque, grava sulle tasche dei cittadini.
E poi cosa si sa di quello che doveva essere il risanamento dei conti con il taglio di municipalizzate e pertecipate del Comune? A quanto ci risulta Farmacap, ricapitalizzata recentemente con diversi milioni, campa e macina debiti; di Assicurazioni di Roma non si sa ancora la sorte definitiva; e tutte le altre? Silenzio, tutto continua come prima.
Veniamo ai trasporti. Marino inaugura la metro C che ancora non arriva a san Giovanni e si scopre che rispetto alle premesse iniziali è già subissata dai costi di gestione con scarsi guadagni. Nel luglio 2013 cambia i vertici di Atac che fa dimettere con l’assessore Improta dopo due anni e non si accerta nemmeno del fatto che servono 280 milioni per dare un minimo di funzionalità alla rete metro. Salvo annunciare, lui ed il precedente assessore, che tocca prima o poi fare entrare un socio come ad esempio le Ferrovie, senza indicare tempi e modi e lasciando all’azienda un risanamento puramente contabile, ma senza prospettiva di sopravvivenza salvo battere cassa al Governo. In Atac tocca al senatore ed ex assessore alla mobilità Esposito, che denuncia la corruzione dei dirigenti superpagati, ma deve ammettere che sono alcuni stati nominati o confermati dal Sindaco. Sulla viabilità ormai al collasso l’unica sua fissa è quella di chiudere definitivamente i Fori senza alcun riguardo ai problemi del traffico, anzi del piano della mobilità che fu di Improta e del quale nemmeno più si parla.
LUI aveva promesso già in campagna elettorale che avrebbe posto fine allo scandalo dei residence per gli sfrattati assegnando un contributo alle famiglie e invece riduce il costo da 33 a 26 milioni mettendo a gara per due anni l’acquisizione degli immobili necessari, ma la gara va deserta e quindi permane la situazione proroga di fatto degli affitti ai proprietari. Poi ci sono tutte le fantasie dei milioni che avrebbero dovuto arrivare dall’estero anche grazie ai suoi numerosi viaggi di lavoro e che si sono ridotti al milione e mezzo di Baku nell’Azerbagian che non è certo Pittsburg o New York.
Questo e tanto altro ancora giustificherebbe i malumori di Renzi, ma questo per il Pd significa aver scelto il sindaco sbagliato, ma soprattutto di aver fallito proprio nella Capitale. Come se ormai questo finale della Telenovela “Ignazio te ne devi annà” non fosse già ampiamente noto ai cittadini pronti a bocciare la sinistra nelle urne. Ragione di più per ammettere gli errori magari discutendone anziché fare la guerra dei tweet.
Ma ve lo vedete un Orfini che si fa l’autocritica?
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